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Pietro Bartolo, medico salva-migranti

di | 2022-11-20T13:40:55+01:00 20-11-2022 6:00|Personaggi, Sezione 1|0 Commenti

MILANO – “Chi salva una vita salva l’Umanità”: è il giuramento concreto (non pronunciato ad alta voce, come quello di Ippocrate) che ben descrive Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa, noto a chi da anni segue il flusso delle anime che migrano dall’Africa verso la Sicilia, per il suo contributo e per la sua lotta per l’accoglienza. Lui è il medico di “Fuocoammare”, il film che ha vinto l’Orso d’Oro a Berlino. Un uomo disponibile, dalla voce calma e dall’accento che ricorda il mare trinacrio, quel mare nostrum, come lo definisce lui stesso, evocando antiche glorie, un mare in cui la Sicilia, perla del Mediterraneo, è sempre stata crocevia di scambi commerciali, culturali, di dna.

E agre sono le parole di Pietro Bartolo (66 anni), dopo una giornata di lavoro come parlamentare europeo. “E’ uno di quei giorni in cui sono più le sconfitte che le vittorie – afferma, come chi pur non conoscendo rassegnazione ne accusa i colpi -. Sono a Bruxelles, ma il pensiero è a Lampedusa, dove una donna di 19 anni piange il suo bambino morto per ipotermia, aveva solo 23 giorni. Lo piange senza sapere nemmeno dove sarà seppellito, lo piange in un centro con altre migliaia di persone, perché ancora non siamo riusciti a farla spostare in una struttura più protetta, più adatta a una mamma che ha il diritto di versare tutte le sue lacrime, in solitudine e non con altre mille persone. E la burocrazia nemmeno a dirlo, non aiuta”.

Una ragazza di diciannove anni, in queste ore, da sola, piange il suo bambino, morto tra le sue braccia perché non è riuscita a riscaldarlo. “Chi arriva dai paesi in guerra, paesi poveri, chi lascia tutto per disperazione, per la persecuzione – continua – è una persona come noi. Con dei sogni, con la stessa voglia di vivere. Non è un nemico. Sento frasi come ‘dobbiamo difendere i nostri confini’. Ma da chi? Da una manciata di persone disperate che chiedono aiuto? Quella donna e quel bambino sono pericolosi nemici? Ma è più facile catalogarli come dei numeri, delle percentuali, statistiche, come se non avessero volti. I numeri aiutano perché sono freddi, asettici. Così come le parole usate per definirli: prostitute, portatori di malattie infettive, integralisti, migranti economici, gli danno 35 euro al giorno. Così è più facile farli apparire brutti e cattivi. Ma avete mai visto un bambino che muore o una bambina violentata e semi-assiderata? Se non fossero disperati, davvero tenterebbero il tutto per tutto mettendo a repentaglio anche la vita propria e dei figli?”.

E come risponderebbe? “Che queste sono le parole che creano la xenofobia, il razzismo, il terrore. L’istigazione all’odio non ha nulla di costruttivo. Non sono prostitute ma spesso bambine o poco più già abusate nei centri africani che sono convinte di potere trovare in Europa lavori anche umili e a volte vengono trasformate in ciò che non avrebbero mai voluto. Per la mia esperienza trentennale di medico che segue le anime salve dei migranti, non sono portatori di malattie infettive ma hanno i segni delle torture e degli abusi, hanno i segni di aborti violenti, di ipotermia e disidratazione e le donne in particolare hanno quella che io definisco la malattia del gommone, ovvero reazioni dovute al contatto con il carburante. Hanno un credo e questo non fa di nessuno un integralista come etichetta. Sono persone che cercano un lavoro, un qualunque lavoro e non sono certo ricchi e i soldi giornalieri non vengono dati loro, ma agli Enti che li gestiscono. Sono solo persone disperate: persone, esseri umani”.

Pietro Bartolo è un uomo che nonostante abbia visto gli inferni, mantiene quell’anelito di speranza, di desiderio che qualcosa in Europa cambi, che quell’Europa che si è dimostrata coesa durante il periodo della pandemia, quell’Europa che ha garantito, con qualche deficit, 70 anni di pace, diventi un’entità unica e forte per trovare politiche comuni di accoglienza e sostegno per chi arriva da quei paesi depauperati dagli stessi europei. “Per secoli – commenta – l’Africa è stato il nostro supermercato”. “Non si possono lasciare in mare – continua – delle persone a soffrire, umiliate, disperate, ci sono dei diritti che non possono essere calpestati, primo tra tutti il diritto del mare. Perché poi alla fine, li fanno sbarcare sempre, ma per giorni e settimane, mentre si discute, quelle persone continuano a patire. Per me questa non è gestione delle regole, per me questa è crudeltà. Ci sono valori assoluti e fondanti, come il diritto del mare, le convenzioni di Ginevra, la Carta europea dei diritti. Ma quella che si continua a sentire è una narrazione dell’odio. I confini non vanno difesi da persone disperate, ma si dovrebbero usare dei termini più appropriati, come controllo e gestione dei flussi. E l’Europa deve trovare una vera unione di intenti in questo”.

“La politica – sottolinea con vigore – dovrebbe essere animata da principi altissimi ed è la politica che deve sedersi e trovare le soluzioni, come in casi estremi ha dimostrato di sapere fare. Io sono un europeista convinto e credo nell’Europa voluta dai nostri padri fondatori. Così come credo che i respingimenti non abbiano portato a nulla, basta guadare la rotta balcanica perché i flussi migratori sono un fatto fisiologico, storico e strutturale”.

E il medico è diventato pure scrittore per responsabilità di testimone e sente il dovere di raccontare ciò che ha visto in questi decenni tra scuole e università, dividendosi tra l’impegno in Europa e il ritorno nella sua Lampedusa. Dove si affaccia in quell’angolo benedetto da un Cristo in croce, lo scorcio dell’Albero del sole, che cala a picco sul mare a un’altezza di 133 metri, un frammento di terra da cui si vede da una parte la porta sull’Europa e dall’altra la finestra sull’Africa. “Noi siamo ospiti dell’Africa, siamo sulla sua piattaforma – afferma parlando della sua isola – perché dista soli 70 miglia da essa e 120 dalla Sicilia”.

Una scena di “Fuocoammare”

Le storie narrate da Pietro Bartolo sono piene di “Lacrime di sale”, titolo di uno dei suoi libri ma anche a lieto fine, come quelle delle “Stelle di Lampedusa”, la storia di Anila e di altri bambini in fuga. “Di racconti di anime ne ho tanti – conclude – ma quella che spesso racconto riguarda un’eroina di soli otto anni che lasciata con i fratellini in Niger dalla madre che sperava di trovare un futuro in Europa, si mette in viaggio verso Lampedusa da sola. E da sola ha attraversato il deserto, bevendo liquidi putridi dei cadaveri, venduta e abusata in Libia e alla fine è riuscita a imbarcarsi e ad arrivare a Lampedusa. E quando l’ho vista da sola, nel corpo i segni delle ustioni chimiche dei carburanti, le ho subito chiesto se avesse qualcuno. E lei con innocenza ha detto che stava cercando la sua mamma, sapeva solo che la sua mamma era in Europa. La mamma che nel frattempo era stata messa su una strada. Ho mosso mari e monti per cercare questa donna, si è interessato anche il presidente Mattarella, il Papa, si sono interessanti in tanti per trovarla. E alla fine, grazie al film ‘Fuocoammare’, è avvenuto il miracolo. Alla fine siamo riusciti a ricongiungere l’intera famiglia, nonostante i rallentamenti della burocrazia, una bambina di 8 anni è stata un eroe gigante che ha salvato la sua famiglia”.

Storie agrodolci dove Bartolo in “Lacrime di sale” ben racconta il penetrare del freddo e della paura nel corpo dei migranti attraverso una sua personale esperienza: “E’ gelida l’acqua. Mi entra nelle ossa. Non riesco a liberare la stazza dall’acqua. Uso tutta la mia forza e la mia agilità ma la lancia resta piena. E cado. Ho paura. E’ notte fonda e fa freddo. Siamo a quaranta miglia da Lampedusa e, se non riesco a farmi sentire subito, mi lasceranno qui e sarà la fine…”.

Alessia Orlando

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