PERUGIA – La straordinaria scoperta del santuario di San Casciano dei Bagni riverbera i suoi riflessi anche sulla storia e sulle necropoli e gli ipogei di Perugia: dal Palazzone di Ponte San Giovanni allo Sperandio, da San Manno a Strozzacapponi, dall’Elce a Casaglia fino a Pila, al Faggeto ed altre ancora. Soprattutto mette in luce l’importanza della “gens” dei Velimni (divenuti Volumni, dopo la battaglia di Sentino, 295 aC, quando gli etruschi e gli alleati italici vennero battuti ed assorbiti dalla Repubblica di Roma ed adottarono, pian piano, la lingua latina), che possono essere considerati dei veri e propri “principes” di questo territorio ed il cui nome è stato ritrovato inciso sui reperti del santuario etrusco sancascianese, insieme a quello dei Mrcna, che i senesi tendono ad attribuire alle loro zone, ma che risulta pure il “cognomen” di un clan del perugino (gli Anei Mrcna).
D’altro canto i rapporti tra Perugia, Chiusi e le altre città della Dodecapoli etrusca (cui Perugia era federata già dal VII sec), sono testimoniati dal sarcofago dello Sperandio di accertata fattura chiugina. Non c’è da sorprendersi, dunque, che i Velimni e altre “élites” perugine, facoltose e potenti, frequentassero le “acque calde”, ritenute miracolose per alcune malattie, di San Casciano, fondate – pare – dal lucumone di Chiusi Lars Porsenna, noto per l’intervento militare contro Roma. Il professor Francesco Roncalli di Montorio, etruscologo di fama internazionale, nel presentare alla Sala dei Notari di Perugia una interessantissima pubblicazione di Luana Cenciaioli, già direttrice del Museo archeologico Nazionale di Perugia – libro dal titolo “Perugia etrusca e romana – Archeologia di un territorio” – ha rimarcato, tra gli altri aspetti affrontati, l’importanza di questa famiglia, il cui capostipite Arnth (Arunte) troneggia nella tomba degli “etruschi del fiume” del Palazzone a Ponte San Giovanni, gens che per oltre tre secoli (dal III aC al I dC) si sviluppò e crebbe lasciando moltissime tracce di sé (“un ramo principesco”, lo ha definito).
L’ultimo esponente (di cui si abbia notizia), Publius Volumnius Violens, vissuto ai tempi di Augusto imperatore, morto a Roma, dove aveva raggiunto la carica e lo status di senatore, volle farsi tumulare nella tomba dei suoi avi a Perugia. Roncalli, a dimostrazione di quanto il personaggio ed i suoi parenti tenessero alle proprie origini etrusche, ha posto in risalto un particolare: mentre sul prospetto dell’urna l’iscrizione delle generalità fu incisa in latino, sul tetto (l’urna in marmo, di lavorazione romana, riproduce una sorta di tempietto) venne scalpellinata in alfabeto etrusco. Una sottolineatura eloquente quanto orgogliosa. Ancora di più. Lo studioso – nel rilevare come la sua allieva (la Cenciaioli fu la prima laureata nella docenza perugina del Roncalli) abbia compiuto, con la sua approfondita ricerca “un atto di amore” nei confronti della città – ha precisato non solo come la “straordinaria complessità” dell’abitato umbro copra il periodo etrusco, romano, medievale e moderno, “con pochi confronti, a parte Roma, dell’Italia antica”, ma anche come illumini sul fatto che l’area perugina fosse abitata, con insediamenti, villaggi, attività artigianali, già in epoca proto-villanoviana, cioè intorno al mille avanti Cristo.
Lo dicono i sistemi viari protostorici, uno dei quali addirittura sotto corso Cavour (nel Medio Evo la via dei Papi), ma emersi anche negli scavi di via Settevalli ed in altri punti in città ed in periferia. Insomma, per essere ancora più espliciti: il territorio perugino si inseriva perfettamente, e con vivacità, già dieci secoli prima dell’Impero Romano, nell’area tirrenica e padana, con cui manteneva rapporti e continui scambi. A rinforzare la tesi, la spada ad antenne del principe villanoviano, ritrovata a Fontivegge (esposta al Museo archeologico) e, più tardo, l’alfaberario etrusco (con 15 lettere, più altre quattro – vera singolarità – utilizzate nel dialetto locale del tempo) rinvenuto alla Piaggia Colombata, a pochi metri dall’allora in costruzione palazzetto dello sport di via Pellini. Sotto la cattedrale un antico e vasto santuario narra della profonda religiosità del popolo e la fama dei suoi aruspici, ricercati a Roma, e non solo, per l’interpretazione del volo degli uccelli e per la “lettura” del fegato e delle viscere degli animali sacrificati.
Le tante armi venute alla luce, a loro volta, ricordano la bellicosità dei perugini del tempo (la lucomonia perugina fu l’ultima, tra le città della Dodecapoli, a piegarsi ed a cedere agli eserciti di Roma). Quindi il periodo ellenistico, sorta di età dell’oro di Perugia etrusca, col “carpentum” di Strozzacapponi, esibizione di lusso dei latifondisti dell’epoca; coll’elegante sarcofago dello Sperandio; col raffinato vaso di Santa Caterina Vecchia; col notarile cippo di Perugia; con lo splendido bronzo dell’Arringatore di Pila e, vertice ultimo, col sorprendente “diadema d’oro” dello Sperandio (al Museo archeologico di Firenze). Solo per portare alcuni esempi.
Le mura della città, costruite nel terzo secolo prima dell’era cristiana, risultano lunghe tre chilometri e mostrano il loro punto massimo (per Roncalli più che a difesa le mura intendevano rimarcare la differenza tra la città ed il contado; aspetto questo vivo ancora oggi nella mentalità dei cittadini dell’arce nei confronti del “contado”) nella elegante porta Marzia, nei conci possenti alla base di Porta Eburnea e nell’imponente e monumentale Arco Etrusco, fatto restaurare da Augusto, quale riparazione (forse) dei danni alla città apportati e causati col “Bellum perusinum” (41-40 aC). Si evince, in pratica, che in città prosperavano le grandi famiglie, ricche e potenti e gli artigiani di ogni ramo, mentre nelle campagne, uomini liberi, liberti e soprattutto contadini si muovevano, lavoravano, si rompevano la schiena nelle grandi fattorie, dediti alle attività agricole.
Il pozzo Sorbello, la cisterna di via Caporali ed una rete di cunicoli assicuravano agli abitanti dell’acropoli, l’acqua necessaria alla vita quotidiana. Appena fuori la cerca muraria le necropoli: lo Sperandio, i Cai Cutu (tomba inviolata scoperta al Toppo di Monteluce nella fase finale del Novecento) e la tomba dei Cacni all’Elce (scoperta nel 2003). L’imponente sviluppo della città venne terremotato dalla “guerra di Perugia” (dal 41 al 40 aC) conclusa, dopo lunghi mesi di assedio e di scontri, con la sanguinosa strage dell’aristocrazia locale decretata da Ottaviano per commemorare l’assassinio di suo zio, Giulio Cesare (proprio nel giorno delle idi di marzo, appositamente attese per la cruenta cerimonia di mattanza) e con l’incendio distruttivo, appiccato per vendetta dai vincitori o casuale e provocato dal vento, che fosse.
Nel primo secolo dopo Cristo, Perugia “restituta” (cioè restituita da Augusto) si riprese e si arricchì dell’anfiteatro (nell’area di Sant’Ercolano), delle Terme (zona via Pascoli), di cui rimane il suggestivo mosaico di Orfeo e delle fiere ammansite dalla sua musica e la “fullonica” (sorta di antiche lavanderie), riemerse a Monteluce, sotto le fondamenta della chiesa di San Bevignate, costruita dai Templari (anche queste visitabili).
Elio Clero Bertoldi
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