PERUGIA – Un altro morto sui campi di calcio. All’ospedale di Careggi (Firenze), dove era stato trasferito, si è spento un giovane attaccante, di soli 26 anni, Mattia Giani. Il calciatore era crollato sul tappeto verde del “Ballerini” a Le Ville di Campi Bisenzio nel corso di una partita di Eccellenza tra il Lanciotto Campi e il Castelfiorentino United, la squadra in cui militava la vittima. Al 14’ del primo tempo (la disgrazia è avvenuta il 14 aprile scorso) gli spettatori hanno visto il giocatore con la maglia numero 7 toccarsi il petto con una mano ed accasciarsi a terra. I familiari di Mattia (sugli spalti, particolare toccante, il papà Sandro e la mamma Debora) hanno presentato già una denuncia sostenendo che a bordo campo non fossero presenti medici o ambulanze e che non fosse stato utilizzato il defibrillatore (non almeno nei primi momenti).
Compito della magistratura mettere in luce i fatti reali e le eventuali responsabilità. Mattia, che viveva a Ponte a Egola di San Miniato, era fratello di Elia Giani, attaccante che milita in serie C, col Legnano, a sua volta cognato del difensore della Roma Gianluca Mancini, essendo fidanzato con la sorella del giallorosso. Da appena un paio di giorni prima della partita di Campi Bisenzio, l’attaccante era andato a convivere, a Stibbio, con Stefania, la sua fidanzata. Vedova già prima di sposarsi.
Il tragico destino di Mattia si è consumato a dodici anni esatti dal decesso (14 aprile 2012), anche quello in campo, nel corso di un Pescara-Livorno, di Pier Mario Morosini, 25 anni, centrocampista, bergamasco di nascita. A stroncarlo una “cardiomiopatia aritmigena silente” di natura, si disse, ereditaria. Anche in quel caso pare, comunque, che non fosse stato utilizzato il defibrillatore. Il primo caso dell’ultimo mezzo secolo fu quello di Renato Curi, 24 anni, di Montefiore dell’Aso, mezzala del Perugia, crollato al suolo nel cerchio di centrocampo, durante un temporale, nel corso di Perugia-Juventus del 30 ottobre 1977. Lo soccorsero e lo trasferirono in ospedale, dove arrivò senza vita, purtroppo. Renato, che indossava la maglia numero 8 (mitica non solo per i tifosi biancorossi) lasciò una moglie, un figlia, ed un figlio che arrivò postumo e che si chiama proprio come il suo papà.
La toccante fine di Mattia ripropone la necessità della prevenzione perché non si può sopportare che nello sport più ricco, praticato e seguito d’Italia non ci si possa accorgere, attraverso controlli e visite sui protagonisti di questo sport, di problemi cardiaci e porvi rimedio. E che, altro aspetto centrale, non siano sempre presenti a bordo campo medici ed operatori sanitari esperti con i loro defibrillatori. Alcuni calciatori si sono salvati grazie ad interventi immediati e ben eseguiti. Basti ricordare due casi, su tutti: quello di Lionello Manfredonia che il 30 dicembre 1989 al “Dall’Ara” di Bologna, colto da malore riuscì a cavarsela in virtù dell’intervento immediato, col massaggio cardiaco, dello staff medico della Roma (il dottor Alicicco e Rossi) e, solo meno di tre anni fa (il 12 giugno 2021) la vicenda di Christian Dannemann Eriksen, rovinato al suolo durante Danimarca-Finlandia di Europa 2020 (in diretta televisiva) e prontamente rianimato. Se per il mediano Manfredonia, allora 33enne, quella di Bologna fu l’ultima partita disputata, per il il centrocampista danese si è registrato un recupero completo tanto che, ancora oggi, indossa la maglia del Manchester United, una delle formazioni più forti del calcio europeo.
Con interventi immediati e qualificati si possono salvare vite. Il mondo del calcio ne prenda atto e si dia da fare non solo a livello di professionisti, ma pure di dilettanti e amatori.
Elio Clero Bertoldi
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