RIETI – Da alcuni giorni, come sempre accade in questa occasione, risuonano ovunque gli echi dell’appena terminato settantunesimo Festival di Sanremo, e risuona anche la classica domanda: “Tu l’hai visto il Festival di Sanremo?” e le solite scontate risposte. C’è chi dice sì, c’è chi dice no e c’è chi dice ni. Io, come sempre rispondo che non l’ho visto, che è poi cosa vera, visto che mai mi sono appassionata a questo tipo di intrattenimento, che reputo estremamente noioso, pur essendo amante della musica e apprezzando molti degli interpreti e compositori italiani.
L’attenzione che generalmente si riserva al Festival è sempre molto elevata per ovvi e svariati motivi di visibilità. E’ un’opportunità per i giovani talenti come anche per nomi di successo. E se ripercorriamo velocemente con la mente l’evoluzione del Festival negli anni, ci rendiamo conto che di cambiamenti ce ne sono stati davvero molti e di notevole impatto. Specchio dei tempi è stata ed è una vetrina ambita. Settant’anni di storia della musica italiana e straniera su un palcoscenico in cui le storie dei protagonisti si sono man mano avvicendate davanti a milioni di occhi benevoli o talvolta implacabili.
L’”Affaire Festival” quest’anno è stato più complicato e dibattuto del solito. Quest’anno i rumors non riguardavano il “totonomi” dei conduttori e dei partecipanti , né quali fossero le canzoni o le “soubrettes” o il calibro degli ospiti. Quest’anno ciò che ha suscitato curiosità è stato, nelle settimane precedenti la data d’inizio, se fare o meno il Festival stesso, vista la drammatica situazione che si sta vivendo, da un anno esatto, a causa della pandemia. Alla fine si decide per il sì, anche per ridare vita al mondo dello spettacolo, tra i più penalizzati dalle restrizioni dovute al Covid 19. E dunque, dato il via alla kermess, ci si aspettava un Festival allineato, diciamo, alla situazione contingente, e invece troviamo un Festival che sembra essere un palcoscenico animato da apparenti dragqueen, solo per l’uso di lustrini eccessivi e di parrucche femminili. Ne viene fuori uno spettacolo tra il serio e il faceto.
In alcuni momenti troviamo un Fiorello animatore di villaggio turistico che dimentica di essere sul palco dell’Ariston e si perde in lunghi monologhi e sketch a scapito dei veri protagonisti che sono i cantanti con la presentazione delle loro canzoni. Rubando più volte la scena al conduttore. E anche sugli interpreti ci sono state notevoli sorprese con punte in cui si è sfiorato il blasfemo (vedi Achille Lauro) tra piume, glitter e richiami, nella coreografia del primo dei 5 quadri, con le lacrime di sangue sul viso, tanto da scatenare la reazione del direttore di Famiglia Cristiana, ritenuta “eccessiva, per certi versi scioccante e un po’ blasfema “che potrebbe essere interpretata come un’offesa ai credenti cristiani, per la possibile allusione alle statue della Madonna e ad immagini sacre legate alla lacrimazione”.
Critiche anche per numerose gaffes e scivoloni del duo Amadeus e Fiorello, che in diverse occasioni sembrano dimenticare il loro ruolo per perdersi in comportamenti davvero poco consoni, tanto da essere più volte corretti, garbatamente (vedi ad esempio Beatrice Venezi che riprende un Amadeus troppo ossequioso, fino a debordare nel femminismo spinto e fuori luogo, dando della direttrice d’orchestra, cosa non gradita dalla Venezi, appunto), così come tutta la parodia della canzone “Siamo donne”, brano – manifesto, la cui interpretazione sembra non aver rispettato il messaggio culturale sottointeso, con tanto di critica pubblica, da parte delle autrici, Jo Squillo e Sabrina Salerno, che impegnate da sempre nelle battaglie sociali per i diritti delle donne, hanno affermato che non ci fosse nessuna attenzione alla cultura al femminile, anche nei numeri delle presenze femminili tra i partecipanti.
Spingendosi anche in una condivisibile critica sulla natura stessa di questo Festival che ha tenuto un atteggiamento forzatamente distaccato dalla realtà quando forse in questo momento c’è invece bisogno di un cambiamento vero. Tutti abbiamo sofferto e soffriamo ancora, alcuni più di tutti, versando lacrime per perdite importanti, con lo stravolgimento totale dell’esistenza e Sanremo, in questo momento storico, doveva essere ancora più speciale, toccante, non banale. Non si può banalizzare , per esempio, riempendo poltrone tristemente vuote con palloncini, come si fosse ad una festa, ad un luna park. L’assenza c’è, è reale, per tutti, e dunque , si doveva far sentire, perché è anche la magia di questi momenti che ci fa sentire uniti. E questo Festival non ha mandato alcun segnale in tal senso.
Stefania Saccone
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