NAPOLI – Ricordo ancora il giorno in cui arrivò la telefonata che mi prospettava la possibilità di insegnare in una scuola paritaria: erano le otto del mattino e non ci fu risposta più logica a quello che era il mio disegno sulla vita. No. Rifiutai la proposta con grande eleganza. Volevo diventare architetto; già collaboravo in un Dipartimento di Tecnologia dei Materiali qui a Napoli e le mie aspettative non erano certo quelle di diventare un insegnante. Ma, come ben presto imparai, la realtà è più grande dei pensieri. La realtà ti sovrasta, ti supera da tutte le parti. Spazza velocemente ogni accattivante progetto che riesci a crearti nel tuo misero cervello per dirti: “Tu generi idee, ma il tuo Destino lo faccio io”. Poco dopo arrivarono una serie di telefonate che mi svegliarono dal “bellissimo” torpore e mi costrinsero a guardare in faccia la realtà. C’era uno stipendio buono e soprattutto la concretezza di dar vita proprio a quei progetti che da solo non sarei stato capace di portare avanti. Così mi arresi. Cominciai ad insegnare.
Nell’impatto con gli alunni, con le innumerevoli e diversissime umanità che mi si prospettavano davanti ogni mattina, nell’incontro con mondi infiniti, bellissimi o tragici che fossero, ho imparato ad ascoltare ed abbracciare qualcosa che apparentemente non mi apparteneva ma che, nel tempo, è diventato parte del mio mondo. Ho intuito (per la verità mi è stato insegnato) che la scuola, gli studenti, le innumerevoli difficoltà e diversità di alunni e colleghi venivano dati a me con un solo scopo: non cambiare loro ma cambiare, nel senso di amare, me. Tutta la realtà, del resto, è data a noi con l’intento di carpire il meglio di ciò che abbiamo o che siamo.
Mi ritorna alla mente una frase contenuta in una canzone di Lucio Battisti “…come può uno scoglio arginare il mare”, cioè come posso frenare, custodire, conservare un bene per me? Come posso, io, arginare una enormità, qualcosa che mi genera e rigenera quotidianamente? Impotente come non mai! Ma è verissimo d’altra parte che la realtà mi è data, non è mia. Ed è altrettanto vero che la realtà, nonostante tutto, è positiva e va vissuta fino in fondo. Questo mi rasserena sempre e mi dà la forza di continuare.
Ma che c’entra la realtà con l’educazione, con l’insegnamento? Conoscere, amare, servire. “Questa è l’insopprimibile esigenza del cuore dell’uomo, di ogni uomo che venga al mondo. Conoscere la verità, sapere le cose, sapere perché le cose esistono, sapere quale sia il senso delle cose; ma non solo saperlo intellettualmente” (Don Giussani). Ancora ora non mi basta conoscere la realtà, poterla abbracciare, ma la voglia è di poter amare la verità delle cose che la realtà porta.
Nel tempo ho cercato di curiosare, di conoscere il bello che trapela attraverso i dettagli delle cose: progetti, Pon, colleghi, alunni, consigli di classe. Tutto mi sollecita a conoscere, a sapere. Non sempre con chiarezza.
Allora educare perché se non per trasmettere il bello, il vero, il positivo? Se l’educazione è, come sottolineava Don Giussani, introduzione alla realtà, vuol dire che l’educazione è accompagnamento a sentire soddisfatto questo desiderio, a rendersene cosciente e a verificarlo nella vita. Questo è il tentativo che ogni giorno facciamo noi educatori, in classe come insegnanti a casa come genitori. Come? Ripetendo le cose che conosciamo, ricercandone il senso, il significato più vero, più autentico, quello originario.
Papa Francesco ha detto che oggi quanto mai c’è bisogno di “insegnanti capaci di dare un senso alla scuola, allo studio e alla cultura, senza ridurre tutto alla sola trasmissione di conoscenze tecniche, ma puntando a costruire una relazione educativa con ciascuno studente che deve sentirsi accolto ed amato per quello che è, con tutti i suoi limiti e le sue potenzialità. In questa direzione il vostro compito è quanto mai necessario”.
È questa la consegna che ho sentito più importante e decisiva, una consegna da prendere quanto mai sul serio per evitare che la scuola si riduca a luogo di istruzione e di regole di comportamento. È un impegno prioritario quello di costruire relazioni umane, perché i ragazzi oggi crescono non tanto per l’accanimento sull’istruzione o sulle regole, ma se incontrano uno sguardo di amore, una simpatia vera e gratuita alla loro umanità. Oggi come non mai è una sfida a ritrovare la passione originaria per questo lavoro che, pur malpagato e con mille problemi, rimane bellissimo.
Innocenzo Calzone
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