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“Parthenope”, emozioni con Napoli nel cuore

di | 2024-11-02T11:28:41+01:00 3-11-2024 1:15|Sezione 4, Spettacolo|0 Commenti

RIETI – Con Parthenope, Paolo Sorrentino va oltre il mito, tocca, colpisce, affonda e lo fa nel suo stile inconfondibile. Questa non vuole essere una recensione, solo la condivisione di emozioni e riflessioni che restano impresse per giorni e alle domande che si pongono. A ognuno di noi la risposta. Sorrentino non lascia nulla al caso e il film è anche un omaggio alla sua città. La bellezza struggente di Napoli e del suo mare, una città resiliente, che ha visto tutto, digerito tutto nel corso dei secoli, i palazzi storici e nobili, i quartieri spagnoli della povertà assoluta, quelli della malavita, le iniziazioni camorristiche, l’acqua fonte di vita e di morte, il tempo che scorre inesorabile, la spiritualità divisa tra superstizione popolare e mondanità, la gioventù che dura toppo poco.

Parthenope, interpretata dall’attrice emergente Celeste Dalla Porta, nasce nel 1950 nelle acque di Posillipo, come la sirena della mitologia che ha fondato Napoli. La leggenda vuole che la testa della sirena Parthenope, innamorata di Ulisse, corrisponda alla collina di Capodimonte, mentre la sua coda si estenda lungo la collina di Posillipo. Al parto assistono tutti, anche il fratello maggiore Raimondo e il figlio della governante della facoltosa famiglia di armatori, Sandrino, innamorato di lei. Suo padrino è l’armatore Achille Lauro che le darà una infanzia agiata e serena. Nulla è per sempre, le domande e i dubbi arrivano man mano che passa il tempo, che è il vero protagonista: il tempo toglie la bellezza, la spavalderia della gioventù, le certezze, le illusioni e le aspettative, gli eventi cambiano le persone e come ripete più volte la canzone di Riccardo Cocciante “Era già tutto previsto”.

Ma noi non lo sappiamo, lo scopriamo piano piano, quando si prende coscienza, si accetta (forse) la vita, si impara ad apprezzare la diversità senza averne paura, si impara a ‘vedere’ e a volte è troppo tardi. Parthenope è bella, disinibita, affascina tutti, ha la risposta pronta, il fratello è fragile, il suo suicidio sconvolge i genitori, nella casa non c’è più il sorriso, i mobili sono coperti con le lenzuola, i genitori ritengono lei responsabile della morte del fratello, soggiogato dalla sua personalità, forse incapace di amare altre donne, la frattura con i genitori è insanabile, ma bisogna andare avanti. Parthenope si iscrive ad antropologia, il professore, Devoto Marotta, severo e temuto da tutti, è interpretato da Silvio Orlando, anche lui resta affascinato dalla personalità e dalla bellezza di Parthenope e fa un patto: “Io non giudico lei, lei non giudichi me. Lei sa che cos’è l’antropologia? Non lo so neanche io che la insegno, ma Billy Wilder (il regista di Viale del Tramonto) era un antropologo”.

Un piccolo vezzo di Sorrentino? Probabile, perché alla fine, quando Parthenope si laurea, Silvio Orlando dà la risposta: “Essere antropologo significa vedere”. Non guardare, ma vedere, accorgendosi di chi e di cosa abbiamo intorno: i bravi registi lo fanno per noi, che gliene siamo grati. “Quando si impara a vedere?”, chiede lei. “Quando viene a mancare tutto il resto”. Parthenope legge i libri di John Cheever, interpretato da Gary Oldman, incontrato a Capri. Prima di laurearsi, tenta la carriera di attrice e qui ci sono altri due splendidi camei: Isabella Ferrari interpreta Flora Malva, un’anziana diva con il volto sempre coperto a causa delle conseguenze di interventi di chirurgia plastica, nel tentativo di fermare il tempo, scandito, manco a dirlo, da rumorosissimi orologi a pendolo, perché il tempo, mano mano che passa, fa rumore. Parthenope impara che gloria e fama portano alla solitudine.

Luisa Ranieri è Greta Cool, ormai attempata attrice di Napoli, che vive al Nord: durante un party di Capodanno in suo onore, lancia invettive contro i napoletani, che non l’hanno amata e Parthenope impara a non farsi incantare dalla mondanità. Nel 1982 è ricercatrice e il cardinale Tesorone, interpretato da Peppe Lanzetta, le propone di scrivere un articolo sulla liquefazione del sangue di San Gennaro. Sorrentino affronta l’altra caratteristica del popolo napoletano: il rapporto con la fede, la spiritualità e le credenze popolari da cui sapersi guardare. Mentre l’Italia precipita negli anni di piombo, Parthenope infine si laurea col massimo dei voti, Marotta la prende come propria assistente, annuncia di voler andare in pensione e le propone di sostenere il concorso a Trento, così dopo due anni potrà tornare a Napoli e prendere il suo posto. Prima di congedarsi le presenta suo figlio, un enorme essere a metà tra neonato e adulto, obeso e dall’umorismo infantile, “fatto di acqua e sale, come il mare”.

Parthenope ne rimarrà affascinata: la diversità non deve fare paura e bisogna sempre ricercare la bellezza. Arriviamo al 2023: Parthenope, ora interpretata da Stefania Sandrelli, torna a Napoli dopo essere rimasta a insegnare a Trento e fa i conti con la propria vita, si riappacifica con la sua città, quella città che tutto ha vissuto e digerito e che le ha insegnato ad affrontare il dolore e le contraddizioni, gli amori di gioventù che passano e che “durano troppo poco”. E alla fine sorride, con la Napoli di Maradona e la vittoria del terzo scudetto. La bellezza di Napoli, città eterna e delle persone, anche nella loro imperfezione, l’amore e la sua assenza, i cambiamenti inesorabili. L’amore e la tragedia si intrecciano, come nella vita. Finiti i titoli di coda, una voce si congeda dal pubblico dicendo “Dio non ama il mare”.

Francesca Sammarco

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