Le abitudini linguistiche possono essere pericolose. Nella Giornata mondiale contro l’omofobia (celebrata il 17 maggio) è giusto riflettere su tutte quelle espressioni o parole che possono mettere l’altro in difficoltà: il linguaggio, infatti, contribuisce a creare la cultura nell’ambiente in cui viviamo. Il modo in cui ci esprimiamo è l’insieme di parole attraverso le quali esprimiamo i nostri pensieri, ma è anche un codice universale a cui tutte le persone hanno accesso in maniera differente e secondo differenti modi. Un linguaggio più inclusivo aiuta a valorizzare tanto le persone quanto le diversità ed è ancora più importante quando si è in presenza di un minore, che può non avere ancora gli strumenti cognitivi per comprendere il modo in cui comunica un adulto. Per questo vanno evitati epiteti goliardici, che potrebbero non essere capiti, ed espressioni come “Non fare la femminuccia” o “Non fare il maschiaccio”, che non fanno altro che connotare negativamente un genere, basandosi su stereotipi arcaici.
Il linguaggio omofobo, inoltre, si presenta in molte forme. La maggior parte delle volte è usato inconsapevolmente e senza intenti dannosi ma, mentre in certi casi lo è palesemente, in altri casi può essere difficile da individuare: serve innanzitutto molta informazione affinché questa comunicazione non venga liquidata come “scherzo innocuo” e soprattutto venga contrastata, a causa del suo impatto negativo sulle persone, soprattutto giovani, sul loro senso di appartenenza, sulla loro autostima. L’uso costante e disinvolto di espressioni omofobe nel linguaggio comune può portare gli adolescenti a pensare che essere gay sia negativo e che sia accettabile discriminare le persone gay o trattarle con modi differenti: in questo modo si rischia di scivolare verso una sorta di bullismo verbale. A questo proposito, secondo alcuni esperti, non aiuta la non accettazione di simboli che permettono a tutti di sentirsi rappresentati: il riferimento è a segni come l’asterisco o lo schwa (specie quest’ultimo permette a tutti di sentirsi rappresentati, sostituendo il maschile sovraesteso).
Come ha dimostrato una ricerca dell’Università di Cambridge per Stonewall, sono stati fatti pochi progressi nell’affrontare l’uso del linguaggio omofobo all’interno delle scuole britanniche, che resta così come problema endemico. Il 99% dei giovani gay ha dichiarato di sentire frasi come “è così gay” e “sei così gay” a scuola e il 96% sente costantemente commenti omofobi. L’uso di tale linguaggio, contrastato da insegnanti e altro personale scolastico, viene spesso alimentato da celebrità che sovente usano espressioni omofobe: questo è un grave problema perché può portare i giovani a pensare che sia accettabile usare un linguaggio omofobo. Al contempo assistiamo spesso all’utilizzo delle parole gay o lesbica come insulto o come alternativa a termini che indicano qualcosa di sporco o nei casi più gravi ai rifiuti (dirty/waste) o persone cattive o con un brutto carattere (ad esempio, il termine “lesbica” viene usato spesso per indicare donna con carattere o di aspetto negativo, mentre la parola “gay” viene usata per definire uomini con carattere debole o remissivo).
A questo proposito serve perciò conoscere parole che possono aiutare tutti ad essere compresi. Innanzitutto, è importante ricordare la sigla, LGBTQI+, acronimo usato per indicare (in ordine) le persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender-transessuali e, di recente, allargata anche a queer e asessuali. Poi, ci sono termini riferiti alla sfera sessuale da conoscere: alcuni meno noti da citare sono asessuale, cioè non attratto da nessun genere; bisessuale, attratto da entrambi i generi; intersessuale, riferito a persona con attributi sia maschili che femminili, o anche pansessuale, che fa riferimento all’attrazione di una persona verso altre di tutti i generi. A questo proposito va ricordato anche cosa significa il concetto di non binary, cioè non binarie: questo è un termine ombrello che indica tutte le persone che non si identificano né con il maschile né con il femminile e rifiutano la concezione binaria dei generi nella società.
Proprio in questo ambito assume un significato di orgoglio l’espressione usata dalla comunità LGBTQI+ di queer, un termine anglosassone usato all’inizio in senso denigratorio per indicare gli uomini omosessuali, che oggi indica proprio quelle persone che rivendicano il proprio non identificarsi con specifiche categorie di genere e/o orientamento sessuale. Da non dimenticare anche il significato di coming out, cioè quando avviene il processo di scoperta, considerazione e accettazione del proprio orientamento sessuale o della propria identità di genere (da non confondere con l’outing, cioè la pratica, scorretta, di rivelare pubblicamente l’orientamento sessuale di una persona senza il suo consenso). Vale la pena anche ricordare cosa significhi la parola trans: è la versione ridotta del termine transgender, che indica tutte le persone che si identificano in un genere altro rispetto a quello atteso in relazione al sesso assegnato loro alla nascita.
“Omofobia, bifobia e transfobia costituiscono un’insopportabile piaga sociale ancora presente e causa di inaccettabili discriminazioni e violenze, in alcune aree del mondo persino legittimate da norme che calpestano i diritti della persona”, ha affermato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. “Dal 2007, quando venne istituita dal Parlamento Europeo la Giornata internazionale contro l’omofobia e la transfobia – ha sottolineato il capo dello Stato – la sensibilità della coscienza collettiva verso questi temi si è accentuata. L’azione di contrasto ai numerosi episodi di violenza che la cronaca continua a registrare non può cessare”.
“Contro le manifestazioni di intolleranza, dettate dal misconoscimento del valore di ogni persona deve venire una risposta di condanna unanime. È compito delle istituzioni elaborare efficaci strategie di prevenzione che educhino al rispetto della diversità e dell’altro, all’inclusione. Gli abusi, le violenze, l’intolleranza, calpestano la Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea e la nostra Costituzione che proprio nell’articolo 3 riconosce pari dignità sociale, senza distinzione di sesso, di tutti i cittadini, garantendo il pieno sviluppo della persona umana”, ha concluso il presidente della Repubblica.
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