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Blasfemia, le parole a rischio… scomunica

di | 2024-10-06T02:13:29+02:00 6-10-2024 1:35|Attualità, Sezione 8|0 Commenti

VITERBO – La blasfemia, parola che evoca timori ancestrali e processi medievali, è stata per secoli una questione da non prendere alla leggera. Una parola sbagliata, pronunciata nel momento meno opportuno, poteva costare la vita o, nei casi più “fortunati”, una condanna al pubblico ludibrio. Oggi, tuttavia, la blasfemia sembra aver perso parte del suo potere distruttivo. O almeno così sembra in molti contesti moderni, dove l’ironia e la secolarizzazione hanno cambiato il rapporto con il sacro.

Nel mondo di oggi, potremmo dire che la blasfemia ha cambiato volto. È stata ridimensionata? Dissolta nella cultura pop? Forse. Ma in realtà, certe parole continuano a destare un certo disagio, specie tra chi conserva ancora una forte sensibilità religiosa. Allora, quali sono le parole che ci mettono davvero a rischio di una scomunica – anche solo sociale – nel XXI secolo?

Un breve excursus storico La parola blasfemia deriva dal greco antico blasphemía, che significa “insulto” o “parola offensiva”. Nell’antichità, l’offesa non era solo contro la divinità, ma anche contro l’intera comunità di credenti. In molte società religiose, essa era considerata un atto gravissimo, degno delle peggiori punizioni. Pensiamo alla Spagna dell’Inquisizione, dove non solo bestemmiare ma anche semplicemente mettere in dubbio la dottrina poteva costare la vita.

Il Medioevo ha visto la blasfemia punita severamente in tutta Europa, con condanne che andavano dalla flagellazione fino all’esecuzione. Nel Rinascimento, qualche spiraglio di luce umanistica ha iniziato a permettere una leggera tolleranza verso la dissacrazione, ma guai a chi osava troppo. Eppure, anche in tempi più recenti, la blasfemia ha continuato a rimanere un tema scottante, basti pensare a processi contro autori “scandalosi” o alla censura artistica.

“Per l’amor di Dio!” Esclamazione versatile e molto diffusa, utilizzata spesso per esprimere esasperazione o sorpresa. All’apparenza innocua, può tuttavia risultare irriverente se pronunciata con la giusta dose di sarcasmo o di fastidio. Se si pronuncia con una tonalità di voce che sale in crescendo, le possibilità di attirare sguardi di rimprovero aumentano esponenzialmente.

“Gesù!” Semplice e diretto, questo è uno dei modi più rapidi per scatenare una reazione. Può passare inosservato in contesti molto laici, ma in ambienti più conservatori potrebbe trasformarsi in una sorta di grido eretico dei giorni nostri. Il problema con questa parola è la sua frequente associazione a un’espressione di disgusto o rabbia. Ma attenzione: c’è un confine sottile tra esclamare il nome di una divinità per richiamare l’attenzione e farlo con intenzioni meno nobili.

“Madonna mia!” Se si pronuncia questa frase a Napoli, si potrebbe suscitare l’approvazione di chi è vicino, data la devozione alla Vergine. Ma la stessa esclamazione, ripetuta altrove e in un contesto più mondano, potrebbe essere percepita come irrispettosa. Non c’è nulla di blasfemo nella parola in sé, ma sono il tono, il contesto e la ripetizione a renderla problematica.

“Diavolo!” La parola ha sempre avuto un’aura di mistero e pericolo. Esprimerla ad alta voce poteva un tempo sembrare un’invocazione del male stesso. Oggi è più comune usarla per manifestare frustrazione o rabbia. Ma attenzione, soprattutto se vi trovate in paesi dove la superstizione è ancora radicata: qui, il “diavolo” non è solo un simbolo, ma una minaccia concreta.

“Porca miseria!” Un’espressione tra le più comuni, ma con una storia interessante. Il termine “porca” richiama l’immagine del maiale, un animale da sempre associato al profano, se non al sacrilego, in diverse culture. Un modo elegante per evitare bestemmie vere e proprie, ma che potrebbe ancora infastidire qualcuno.

Blasfemia 2.0: le parole che sconvolgono oggi Sebbene termini tradizionalmente legati alla blasfemia religiosa siano ancora vivi e vegeti, il concetto stesso di blasfemia si è evoluto. Oggi, in un mondo sempre più secolarizzato e dominato dalla cultura pop, le nuove “blasfemie” sono più spesso legate alla tecnologia, alle abitudini moderne e ai totem della società digitale.

“Non ho i social” – In un mondo sempre più connesso e governato dalle piattaforme digitali, dichiarare “Non ho i social è una sorta di eresia moderna. La reazione tipica? Occhi sgranati, silenzio imbarazzato e, in alcuni casi, un vero e proprio shock. Rinunciare volontariamente a Instagram, Facebook o TikTok è come ammettere di non far parte del grande “culto” globale della condivisione online. Un’affermazione del genere potrebbe suscitare sguardi di sospetto, come se si trattasse di un’anomalia da risolvere o, peggio, di un atto di ribellione contro l’ordine stabilito.

“Boicottiamo Netflix!” – Negli ultimi anni, il rapporto con i servizi di streaming ha acquisito una sacralità quasi religiosa. Qualsiasi accenno a un boicottaggio di massa contro Netflix può provocare una reazione indignata. Non si tratta solo di un’offesa contro una multinazionale, ma di un attacco al rito quotidiano di migliaia di persone che vivono per la loro dose quotidiana di serie TV.

“Disattiva il Wi-Fi!” – Nell’era digitale, spegnere il Wi-Fi è come commettere un sacrilegio. Se minacci di farlo, preparati ad essere guardato come un pazzo o un ribelle senza causa. Il Wi-Fi è diventato una sorta di “bene sacro” che non può essere toccato senza scatenare una ribellione.

“Non ho mai visto Game of Thrones” – In un mondo ossessionato dalle serie televisive, ammettere di non aver visto una delle più popolari può far guadagnare un’etichetta di eretico contemporaneo. Sembra un’affermazione innocente, ma è il segno che non si appartiene al “culto” globale delle serie TV.

L’evoluzione della blasfemia: tra ironia e tabù La società odierna è decisamente più flessibile riguardo alla blasfemia, ma questo non significa che possiamo dire tutto ciò che ci passa per la testa senza conseguenze. Certo, ridere di un argomento spinoso come la blasfemia aiuta a sdrammatizzare, ma c’è sempre quel momento in cui  bisogna mordersi la lingua per non dire qualcosa che… Beh, si vorrebbe dire, ma meglio di no. Tra una scomunica e un tweet infelice, il confine è davvero più sottile di quanto si pensi.

Alessia Latini

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