RIETI – “Parlare col cuore”. E’ il messaggio di Papa Francesco per la 57esima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, nella festività del patrono dei giornalisti San Francesco di Sales, il 24 gennaio. In questi ultimi anni il Papa ha invitato i giornalisti e tutti gli operatori della comunicazione ad “andare e vedere” e ad “ascoltare”, condizioni necessarie per una buona comunicazione. Il suo nuovo messaggio “parlare con il cuore”, sottolinea che “è il cuore che ci ha mosso ad andare, vedere e ascoltare ed è il cuore che ci muove a una comunicazione aperta e accogliente”.
L’ascolto, oltre alla pazienza e all’attesa, richiede la rinuncia ad affermare in modo pregiudiziale il nostro punto di vista: il giornalista dovrebbe essere neutrale e obiettivo nel riportare i fatti, senza interpretarli, comunica la verità, ma c’è modo e modo di farlo “non dobbiamo temere di proclamare la verità, anche se scomoda, ma di farlo senza carità, senza cuore”. E qui Papa Francesco cita Benedetto XVI: “Il programma del Cristiano è un cuore che vede (enciclica Deus caritas est)” per sintonizzarci sulla stessa lunghezza d’onda. Solo così avviene l’incontro, che “ci fa guardare gli uni gli altri con compassione”. Fa bene sentir pronunciare ancora la parola compassione, in questi anni in cui sembra che il senso intero di umanità sia venuto meno, con le atrocità che stanno avvenendo nel mondo sotto ai nostri occhi, mentre ancora inorridiamo per quanto successo nella seconda guerra mondiale, nei campi di sterminio, la persecuzione non solo contro il popolo ebreo, ma contro tutte le diversità: rom, diversamente abili, omosessuali.
Pronunciarla, ricordarla, sottolinearla, fa bene, è una boccata di ossigeno. Oggi non possiamo dire di non sapere, di non vedere, oggi l’informazione c’è, anche se nei regimi totalitari ci si prova sempre di più a bloccarla o addomesticarla. Dobbiamo resistere, andare oltre, con coraggio, restando umani. Anche Papa Francesco definisce questo un periodo storico segnato da polarizzazioni e contrapposizioni “da cui purtroppo anche la comunità ecclesiale non è immune” e richiama alla necessità di impegnarsi a “comunicare con il cuore e le braccia aperte, come responsabilità di ciascuno, non solo degli operatori dell’informazione”. Nel Vangelo di Luca (6,44) “L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda”.
L’appello a parlare con il cuore “interpella radicalmente il nostro tempo, così propenso all’indifferenza e all’indignazione, a volte anche sulla base della disinformazione, che falsifica e strumentalizza la verità”. Comunicare cordialmente “chi parla così vuole bene all’altro perché lo ha a cuore e ne custodisce la libertà, senza violarla” (“I care” di Don Milani). Siamo tutti chiamati a cercare, a dire la verità e a farlo con carità, “custodendo la lingua del male”. Dalla nostra bocca non dovrebbero uscire parole cattive, ma parole buone, anche perché il parlare amabile apre la breccia perfino nei cuori più induriti. C’è chi la chiama anche diplomazia, solo che questa è frutto di calcolo e di convenienza, non viene dalla convinzione del cuore, così come la gentilezza non è solo galateo, ma un antidoto alla crudeltà. La comunicazione non deve fomentare livore, né esasperare.
Basta amare bene per dire bene? Un esempio è proprio San Francesco di Sales, Dottore della Chiesa al quale Papa Francesco ha dedicato la lettera apostolica Totum amoris, nei 400 anni dalla morte e nel centenario dalla proclamazione a patrono dei giornalisti da parte di Pio XI. Persona brillante e scrittore fecondo, teologo di spessore, fu vescovo di Ginevra all’inizio del XVII secolo in anni contrassegnati da dispute accese con i calvinisti. Ebbe un atteggiamento mite, umano, con disposizione al dialogo, paziente con tutti e di lui si poteva dire “una bocca amabile moltiplica gli amici, una lingua affabile le buone relazioni”. La sua affermazione più celebre “il cuore parla al cuore” e “basta amare per dire bene” ha ispirato generazioni di fedeli, la comunicazione non è una strategia di marketing, ma il riflesso dell’animo.
E’ così che San Francesco di Sales, con la sua intuizione giornalistica, riuscì a comunicare con il sordomuto Martino, diventandone amico e per questo è anche ricordato come protettore delle persone con disabilità comunicative. Ci ricorda che “siamo ciò che comunichiamo” e va controcorrente in un tempo nel quale nei social network la comunicazione viene sovente strumentalizzata affinché il mondo ci veda come noi desidereremmo essere e non per quello che siamo. Paolo VI disse che i suoi scritti suscitano una lettura sommamente piacevole, istruttiva, stimolante. Queste dovrebbero essere le caratteristiche di un articolo, reportage, servizio radiotelevisivo, post sui social. Da un ascolto senza pregiudizi (cosa molto difficile, ma bisognerebbe provarci più spesso) nasce un parlare secondo lo stile di Dio, nutrito di vicinanza, compassione e tenerezza, con l’umiltà nell’ascoltare e un parlare che non separi la verità dalla carità, per promuovere una cultura di pace laddove c’è la guerra, che ‘si prenda cura’ dell’altro.
Ne ha bisogno la Chiesa, ne ha bisogno la società.
Francesca Sammarco
Nell’immagine di copertina, san Francesco di Sales, protettore dei giornalisti
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