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Paolo Rossi e Perugia: amore senza limiti

di | 2021-01-02T14:39:12+01:00 3-1-2021 6:10|Attualità, Sezione 3, Sport|0 Commenti

PERUGIA – L’ultimo respiro lo ha esalato tra le braccia della moglie, Federica, che gli ha regalato due bellissime figlie, forse il suo paradiso terrestre. Raccontano che abbia affrontato con gagliarda determinazione sino all’ultimo, come suo stile, la battaglia col male implacabile che gli sgretolava le ossa, chiuso nella stanza dell’ospedale delle Scotte di Siena. Il destino pratica strade misteriose, imperscrutabili: l’Umbria che per la sua carriera era suonata come una dolorosa, terribile disfatta di Canne gli aveva poi donato l’amore di una moglie, perugina, amabile ed affettuosa. Per qualche anno, dopo la vicenda del Totonero, nel quale era rimasto invischiato per colpe non sue, Paolo Rossi nell’intimo, avrà maledetto il giorno in cui aveva scelto la maglia biancorossa in quella stagione 1979-80, rivelatasi poi così tormentata. Il tempo ha provveduto, pian piano, a smorzare, ad attenuare ed a superare, infine, quello stato d’animo negativo proprio perché da Perugia era sbocciato l’amore, profondo e maturo, della sua vita e nel capoluogo umbro erano nate le sue bambine, Maria Vittoria e Sofia Elena.

Non per caso questo “amore ricongiunto” – così lo ha definito Federica, la moglie – si era definitivamente completato e compattato, quando Pablito aveva deciso di organizzare una mostra a Perugia nella Rocca Paolina e quando aveva fondato, sempre in città, una Accademia calcistica col suo nome. Ora il club si è dichiarato pronto a dedicare al suo nome l’intero settore giovanile; la municipalità sta valutando – impegno assunto dal sindaco Andrea Romizi, pubblicamente – altre iniziative (la cittadinanza onoraria suggerita da diverse parti, oppure l’iscrizione all’albo d’oro o l’intitolazione di una via o di un luogo).

Nella città del Grifo Paolo era approdato con la sua BMW 3.2, nera (“di seconda mano”, puntualizzò) una manciata di mesi dopo la vigorosa esplosione dell’Italia, da lui trainata a suon di reti, nel mondiale d’Argentina. Quando aprì lo sportello della vettura, sul piazzale del Renato Curi, gli astanti videro scendere un giovanotto in bermuda e maglietta, con quel suo sorriso luminoso, contagioso persino – sorta di marchio di fabbrica -, da bravo ragazzo della porta che prometteva chissà quali sconquassi nella squadra che, poche settimane prima, aveva concluso il campionato al secondo posto alle spalle del Milan con un solo punto di distacco e col vanto, indelebile, dell’imbattibilità. Semplice, sincero, disponibile con tutti: andava a cena ospite delle famiglie più umili e modeste, giocava a carte con gli anziani avventori del bar sotto casa, accettava le robuste, invadenti pacche sulle spalle dei supporter, rispondeva pronto alle richieste di autografi di grandi e piccini. Eppure confessava, Paolo, che il successo gli pesava, lo soffocava, quasi. Ma non riusciva a mostrarsi scontroso coi fan. “Mi vogliono bene. Come posso ignorarli?”.

La tappa di Perugia fu parto di una brillante intuizione di Franco D’Attoma, che si era inserito, nelle frizioni tra Giussy Farina, presidente del Lanerossi Vicenza, e la Juventus, prendendo in affitto, in pratica, Pablito. Seicento milioni, pagati a rate (coi soldi dello sponsor “Ponte”, azienda perugina) e giochi chiusi. L’incontro che sancì l’accordo clamoroso si registrò in Maremma, a Valmora dove Farina possedeva una villa. A firmare le carte, il padrone di casa, Rossi (100 milioni più i premi), D’Attoma ed il ds Silvano Ramaccioni. L’attaccante, nato e vissuto a Santa Lucia di Prato, venne ad abitare nel quartiere di Santa Lucia. E colse quel particolare come una congiuntura favorevole. Invece… L’attaccante, da parte sua, tenne fede alle attese fino alle soglie della primavera: quando esplose lo scandalo. La squadra – guidata da Ilario Castagner – viaggiava al secondo posto in classifica. In biancorosso Paolo – che era tutt’altro che un panzer col suo fisico magro, ma che possedeva una una muscolatura rapida e scattante ed una scelta di tempo da far invidia ad una mangusta – siglò 13 gol. Il suo compagno migliore in quei mesi si era dimostrato Della Martira, difensore, romano. Col quale divideva la camera nei ritiri. E che si rivelò la causa della sua disgrazia.

Alla vigilia di Avellino-Perugia, i grifoni scesero in una struttura ricettiva di Vietri sul Mare. I calciatori, dopo cena, stavano giocando, allegramente e rumorosamente, a tombola. Della Martira, che aveva ricevuto la visita di due suoi conoscenti, lo chiamò in disparte. “Due miei amici romani vorrebbero salutarti, puoi venire?”, gli disse. Rossi, lasciò le sue cartelle, affidandole al “Tigre” Ceccarini e lo seguì nella hall. Uno dei due “tifosi”, Cruciani (“anima” del Totonero, con l’oste Trinca, che quella sera non si fece vedere) dopo i convenevoli, accennò alla partita e specificò che un pareggio sarebbe stato il risultato migliore. “Basta che segno..”, replicò il centravanti. E, subito dopo, non senza imbarazzo, lasciò la sgradevole compagnia. Quelle tre parole segnarono la sua condanna (la partita finì sul 2-2, doppietta di Pablito). Due anni di squalifica, il verdetto della giustizia sportiva. I giudici della magistratura penale, lo assolsero, per “non aver commesso il fatto”, ma il danno ormai era fatto. Irreparabile. Riuscì, Paolo Rossi, a risollevarsi ed alla grande (tonfi e trionfi hanno segnato tutto il suo cammino), ai mondiali del 1982, in Spagna. Fu lui a trascinare l’Italia al titolo mondiale. Chi non rammenta le immagini di quella mitica partita? E pure la gioia irrefrenabile, infantile, quasi, del presidente della Repubblica Sandro Pertini? Molti storici ritengono che quella vittoria segnò, per il paese intero, la fine o comunque la svolta, dopo gli “anni di piombo”, del terrorismo. Di sicuro regalò una nuova immagine, uno smalto ravvivato, all’Italia.

Altri narrino le sue vittorie sportive, ottenute coi ginocchi martoriati (tre menischi). A me, di Paolo, piace ricordare il garbo, la bontà d’animo, la beneficenza, fatta in modo riservato: fondò col professor Belloli a Vicenza, una associazione per l’assistenza ai bambini affetti da malformazioni cardiache e contribuì a borse di studio per i ricercatori di questa branca scientifica. Andava in visita nei reparti ospedalieri riservati ai bambini malati di tumore o di leucemia per fornire il suo contributo, non solo d’affetto. Incise persino un disco – con la sua voce di cantante improbabile, “trattata” da miracolose strumentazioni tecniche – per raccogliere fondi per i terremotati della Valnerina. E a Perugia i suoi resti mortali sono stati cremati. Questo, l’uomo. Dei ladri profanatori, per ora sconosciuti, mentre si celebravano i suoi funerali a Vicenza e l’intera famiglia stava seguendo la toccante cerimonia, sono penetrati nella sua abitazione-agriturismo a Bucine, in Toscana e l’hanno svaligiata. Senza pietoso rispetto del momento, loro. Ma la terra, che sa con quanto cuore, con quale grazia e garbo, Paolo abbia attraversato i suoi giorni, non potrà che dimostrarsi lieve alle sue ceneri.

Elio Clero Bertoldi

Nell’immagine di copertina, Paolo Rossi con la moglie Federica Cappelletti

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