PALERMO – Dovremmo inchinarci davanti agli oceani che, circa 4 miliardi di anni fa, sono stati la culla della vita nel nostro pianeta. Proprio con lo scopo di ricordare a tutta l’umanità l’importanza di questo straordinario ecosistema terrestre, nel 1992, durante il vertice sull’ambiente di Rio de Janeiro, venne istituita dall’ONU la Giornata degli Oceani, da celebrarsi ogni anno l’8 giugno.
Purtroppo si dimentica troppo spesso che la sopravvivenza umana dipende dal buono stato di conservazione degli oceani che ne determina quantità di piogge, correnti, produzione di ossigeno, nutrimento. Invece si continua a inquinare le distese d’acqua, vicine e lontane: il WWF ha calcolato ad esempio che venga disperso nel mare Mediterraneo l’equivalente di 33.800 bottiglie di plastica al minuto e che ogni anno vengano immessi nelle acque del pianeta ben 17 miliardi e seicento milioni di tonnellate di plastica.
“Gli oceani sono un ecosistema essenziale per sostenere la vita sul pianeta. E per questo meriterebbero molta più attenzione”. A sottolinearlo è il professore Sandro Carniel, oceanografo e ricercatore presso l’Istituto di Scienze Marine del CNR di Venezia, che aggiunge: “Le minacce allo stato di salute delle acque del pianeta sono essenzialmente due: le prime poste dal riscaldamento globale, le seconde legate all’azione diretta dell’uomo con l’introduzione di sostanze nocive o l’eccessivo utilizzo di risorse. E quindi inquinamento, dispersione di plastiche, pesca eccessiva. La prima è una malattia cronica, la seconda acuta. Questo significa che per curare la prima servono molti decenni, almeno 4 o 5, mentre la seconda può essere affrontata in molto meno tempo. E prima si agisce, meglio è. Purtroppo il 60% delle zone di pesca sono sfruttate al limite estremo. Non basta l’acquacoltura, anche se fa fronte a metà della domanda. E’ essenziale una pesca sostenibile e certificata”.
Il professore Carniel ricorda poi che il contributo degli oceani è prezioso per il contenimento dell’anidride carbonica: “Gli oceani assorbono circa un terzo della CO2 emessa dalle attività umane. E meno male. Ma così cresce l’acidità media: negli ultimi 100 anni è aumentata del 20%. Questo mette in crisi gli organismi che usano il calcio per i loro gusci e i loro scheletri, ad esempio i molluschi e crostacei, che hanno più difficolta a fabbricarla”. E infine: “Come si scalda l’atmosfera, si scalda il mare. Di circa un decimo di grado a decennio. Come conseguenza, si dilata e si alza di livello con conseguente erosione e allagamento delle coste. Scaldandosi, il mare diventa poi meno ospitale per alcune specie. Chi può, si sposta. Chi non può, come i coralli, muore. E poi lo stato superficiale dell’oceano, più caldo, forma una sorta di barriera e riduce il mescolamento delle acque e quindi la presenza di ossigeno in profondità”.
Una buona notizia ci viene da “Leonardo”, TG della scienza che, proprio in occasione della Giornata mondiale degli oceani, ha dedicato un servizio alle balene. Abbiamo appreso così che ogni “signora del mare” cattura nel suo corpo tanta CO2 quanta ne assorbono 1.500 alberi. E, oltre a imprigionare CO2, le balene svolgono un’importante funzione: mangiano il plancton a grandi profondità, poi risalgono in superficie dove avviene la fotosintesi e rilasciano le loro deiezioni, nutrimento per il plancton che, a sua volta, cattura la CO2, nutre i pesci e contribuisce all’incremento della vita marina.
La presenza e la tutela di questi giganti del mare è allora una priorità non solo per la salute degli oceani, ma per il contrasto ai cambiamenti climatici.
Maria D’Asaro
Lascia un commento