PALERMO – Il 2 ottobre la liturgia cattolica festeggia gli Angeli Custodi: messaggeri spirituali e ponte tra l’umano e il divino, sono presenti in quasi tutte le religioni e culture, magari come “archetipi” (per utilizzare un concetto dello psicanalista Carl Jung), cioè come riferimenti del nostro immaginario mentale collettivo. Nello stesso giorno, in Italia ricorre anche la Festa dei nonni, istituita con legge n.159 del 31 luglio 2005. Il 2 ottobre è anche la Giornata internazionale della Nonviolenza, istituita dall’Assemblea generale della Nazioni Unite nel giugno 2007, e celebrata per la prima volta il 2 ottobre dello stesso anno.
Tale ricorrenza, che si celebra proprio nel giorno di nascita del Mahatma Gandhi, è stata voluta dalle Nazioni Unite per “la rilevanza universale del principio della nonviolenza” e per divulgarne il messaggio attraverso l’informazione, con l’auspicio di “assicurare una cultura di pace, tolleranza, comprensione e nonviolenza”.
Ancora oggi però le idee e le pratiche nonviolente sono poco conosciute e spesso fraintese ed equivocate. Talvolta la nonviolenza viene scambiata per passività, debolezza o per pacifismo arrendevole e imbelle. Nulla di più sbagliato.
Gandhi stesso ha ribadito che se mai “un uomo venisse preso da una mania omicida e cominciasse a girare con una spada in mano uccidendo chiunque gli si pari dinanzi (…) chiunque uccida il pazzo otterrà la gratitudine della comunità e sarà considerato un uomo caritatevole”. Attenzione però: per Gandhi si può utilizzare la violenza per difendere sé stessi e gli altri solo se prima sono state esperite le pratiche e le azioni nonviolente possibili.
Bisogna anche sottolineare che chi aderisce a una pratica di lotta nonviolenta, per raggiungere il suo obiettivo è disposto ad accettare la sofferenza su di sé piuttosto che infliggerla al suo avversario: per rendersene conto, basta conoscere i percorsi esistenziali e politici di nonviolenti illustri quali Nelson Mandela e Martin Luther King, oltre all’esempio luminoso del Mahatma.
Inoltre, molti confondono ancora conflitto, aggressività e violenza. Invece, mentre la violenza è una specifica forma di combattività finalizzata al danneggiamento o all’annientamento di qualcuno, il conflitto è naturalmente iscritto nelle dinamiche tra le persone e i gruppi sociali; il professore Andrea Cozzo – nel testo “Conflittualità nonviolenta” – sottolinea che“il conflitto è un fondamentale fattore propulsivo per il cambiamento proprio e/o dell’altro (…) in quanto processo e dinamismo, esso è un tutt’uno con la realtà e con la vita”. La nonviolenza è allora un modo di affrontare il conflitto in modo costruttivo, ascoltando le parti in causa e facendo in modo che le energie impiegate nel conflitto non sfocino nella violenza.
La psicologia ha poi evidenziato la differenza tra violenza e aggressività: quest’ultima, diversamente dalla violenza distruttiva, è “un fattore energetico che ha a che fare con la vita e col diritto che ogni essere vivente esercita in qualche modo per la propria conservazione ed espressione”.
Elemento costitutivo della cultura e dell’azione nonviolenta è poi la congruità tra mezzi e fini: a differenza di quanto ipotizzava Machiavelli con la massima ‘il fine giustifica i mezzi’, secondo i teorici e i praticanti della nonviolenza, per ottenere un fine buono, buoni devono essere anche i mezzi per raggiungerlo. Gandhi lo ha sottolineato spesso nei suoi scritti e con la sua azione politica: per lui – come scrive ancora il professore Cozzo – “i mezzi sono tutto: infatti quale è il seme, tale sarà la pianta; non si può seminare gramigna e pretendere di raccogliere rose”.
Inoltre la nonviolenza è sempre rivolta a combattere il comportamento che ritiene malvagio e ingiusto, senza però odiarne l’autore. Gandhi ha sottolineato che per i nonviolenti non devono esistere nemici, persone da odiare, ma solo antagonisti o avversari: persone con le quali ci si deve, comunque, sempre sentire legati dalla comune appartenenza alla famiglia umana. Ecco le sue parole testuali: “L’uomo e la sua azione sono due cose distinte. È certamente giusto impugnare e combattere un sistema, ma impugnare e combattere l’autore equivale a impugnare e combattere sé stessi”.
Altra caratteristica poco nota della nonviolenza è che essa, come metodo di lotta, è alla portata di tutti: grandi, piccoli, donne, uomini, sapienti, ignoranti, sani, malati…Alcuni la chiamano ‘la politica della gente comune’ in quanto – in svariate situazioni purtroppo poco pubblicizzate – è stata utilizzata da gruppi eterogenei per battersi contro forme di violenza e conseguire obiettivi di giustizia sociale.
Infine, una curiosità: fu l’italiano Aldo Capitini – chiamato il “Gandhi italiano” per la sua convinta adesione alla nonviolenza e organizzatore e ideatore nel 1961 della marcia di Pace Perugia-Assisi – a suggerire di scrivere attaccata e senza trattino la parola nonviolenza come una parola a sé stante, nuova, per sottolineare la natura innovativa del concetto rispetto alla semplice assenza di violenza.
L’auspicio, allora, è che la celebrazione della sedicesima Giornata mondiale della Nonviolenza faccia riflettere e converta al dialogo i tanti responsabili delle troppe, dolorose, assurde, tristi e pericolose situazioni di violenza e di guerra nel nostro martoriato pianeta.
Maria D’Asaro
Semplicemente, grazie.