NAPOLI – Diciamolo chiaramente: non può esserci Natale se non nella considerazione di essere di fronte ad una possibilità sempre nuova di essere riabbracciati. Il Natale è la semplice, grande, esagerata pretesa di essere comunicazione, trasmissione del Bene. Non del volersi bene, vagamente inteso, che scade nel momento in cui lo si dice. Perché il più delle volte manca inesorabilmente e tristemente di un fondamento. Il Natale è trasmissione di un bene che ha, invece, l’unico, originario, possibile fondamento che è Colui che può, Colui che genera, Colui che ha dato significato al Bene.
Ogni altro, fugace bene è solo frutto di un desiderio che non ha base certa, che non ha fondamento se non in un sentimentalismo moralistico che lascia il tempo che trova. Fugace, insensato, senza motivo. Un po’ come il lastricar pavimenti… Il Natale propone fortemente una fonte che, in quanto tale, genera libertà, paradossalmente appartenenza e, per questo, strano a dirsi, libertà. Libertà di appartenere; appartenere liberamente contro ogni mentalità riduttivistica generata dal pensiero dominante radical chic, appartenenza ad un respiro ampio, senza insidie. Vero.
Lo scandalo nei confronti della ecclesia è pretendere che sia perfetta e “sana” invece di convincersi che è piena di gente stracolma di peccati e, per fortuna, proprio per questo, capace di accogliere anche me che sono “l’unico perfetto” su questo mondo. Non c’è uomo più impeccabile di me, tutto il resto è scandalo e orribile tragedia umana. Uomini, donne, preti, suore, papi, colleghi, amici: tutti peccatori. Non si salva nessuno se non me stesso… ma a volte neanche io. Il Natale giunge a proposito per spostare lo sguardo: Dio non viene per punire i malvagi e i peccatori ma per “perdonar li peccati miei, che perciò credo venuto sei”. Per chi li riconosce, ma anche no.
Il Natale è un annuncio di concretezza, di abbraccio ad una realtà, la nostra, estremamente piegata su sé stessa. Eppure basta poco. Basta guardare, in silenzio, la pochezza della nostra consistenza per riscoprire la densità, la ricerca di senso che ogni uomo anela disperatamente e che, continuamente, censura.
Con il Natale si sviluppa la parola “predilezione” che, nel suo senso etimologico, significa essere amati prima che ce ne accorgiamo, essere amati prima della nostra risposta, quell’essere amati che pone un dato di fatto irreversibile, quell’essere amati che definisce il nostro valore nel mondo. San Bernardo diceva: «In primo luogo, l’uomo ama sé stesso per sé stesso e non capisce nient’altro che sé, al di fuori di sé; ma quando incomincia a capire che da sé non riesce neanche a sussistere, allora incomincia, attraverso l’indagine e la fede, ad amare Dio come qualcosa di necessario per sé». Il nesso col Mistero a livello d’esperienza naturale è ancora una nostra azione, qualcosa che parte da noi e al massimo ci possiamo compiacere di queste osservazioni, ma non ci possono dare certezza, pienezza e pace.
L’uomo, pur in questa intuizione, rimane meschino, perché la meschinità è la caratteristica dell’uomo che venga concepito come avente consistenza in sé stesso. La meschinità è la brevità della misura. Tant’è vero che questa religiosità naturale pretende da Dio, si lamenta di Dio, e tende a far Dio a sua immagine e somiglianza.
Per questo io umano che trova in sé, da una parte limiti coi quali è connivente e, dall’altra, quel grido che è nel suo cuore, quell’attesa che è nel suo animo, Dio si è mosso, per liberarlo dalla noia di sé stesso e dal peso di quel limite che si trova dentro in tutto quello che fa. Ma chi glielo ha fatto fare? E’ il pensiero di molti considerando la concretezza dell’ecclesia come un punto lontano e inutile nella propria vita. La superficialità o l’arroganza del “Ce la faccio da solo” o del “Ma a che mi serve? Vivo bene così” viene rotta da un suggerimento di abbraccio denso di significato: si può vivere di più!
Il Natale è questa forzatura paradossale a ricentrare il punto vero della questione: ma io basto a me stesso?
Il Natale non è solo una festività da vivere con tradizioni e simboli. È l’evento che cambia radicalmente il destino dell’umanità: Dio si fa uomo, entra nella storia e rinnova ogni cosa. Questa prospettiva fa del Natale un fatto vivo e attuale, capace di parlare a ciascuno di noi oggi.
Il cuore del Natale è il Mistero dell’Incarnazione: Dio diventa carne, sceglie di condividere la nostra condizione umana per rivelarci il senso ultimo della vita. Questo fatto – e non una teoria o una dottrina – è il centro della fede cristiana: “Il Cristianesimo non è una dottrina, non è una morale. Il Cristianesimo è un avvenimento: un fatto, una cosa che accade.” La nascita di Cristo non è solo un episodio storico, ma l’inizio di un rapporto personale tra Dio e l’uomo, un incontro che trasforma l’esistenza. Spesso, immersi nella frenesia consumistica, rischiamo di dimenticare il vero significato della festa.
Il Natale è un fatto che interpella ogni uomo: è la nascita di un Dio che si fa compagnia, una presenza che rinnova il mondo e la vita quotidiana. È un invito a riconoscere questa presenza, a lasciarsi sorprendere dalla sua vicinanza e a vivere con gratitudine e speranza, certi che nulla è più umano di Dio fatto uomo.
Innocenzo Calzone
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