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Napoli, Palazzo Carafa tra leggende e misteri

di | 2021-02-19T19:12:42+01:00 21-2-2021 6:30|Arte, Sezione 7|0 Commenti

NAPOLI – Le bugne di Palazzo Carafa a Napoli raccontano una storia che ha inizio nel XV secolo, quando Diomede Carafa conte di Maddaloni ordinò il rifacimento di una proprietà che sorgeva sul medesimo sito: fu ultimata nel 1467. Diomede Carafa era un umanista in contatto con Lorenzo il Magnifico che gli inviò in dono una famosa testa di cavallo in bronzo (oggi al Museo Archeologico Nazionale; nel cortile la sostituisce una copia in terracotta dipinta). La facciata, rivestita da bugnato piatto, evidenzia la mescolanza di elementi architettonici italiani e catalani tipica del secondo ‘400 napoletano. Tutta la strada di S. Biagio dei Librai (soprannominata Spaccanapoli) testimonia la grandezza e la bellezza di una città ricca di arte, di storia, e di umanità.

Sulla testa del cavallo si è scritto di tutto: leggende, storie di fantasmi e curiosità. Addirittura c’è chi crede che l’abbia creata Virgilio in persona. Fra le tante storie tramandate dal popolo c’è anche un indovinello: si racconta ancora oggi che in un tempo imprecisato, sotto la testa, c’era una frase enigmatica che sfidava gli avventori. Il premio era particolarmente allettante: un misterioso tesoro. “Davanti ai miei occhi c’è un tesoro”: questa frase era scritta su una targa ai piedi della statua. Secondo una tradizione popolare, per decine di anni gli occupanti del palazzo si scervellarono per capire dove si trovasse l’eredità di Diomede Carafa che, secondo quella scritta, era nascosta da qualche parte e l’indizio decisivo stava nel cavallo. Quasi tutti, dopo aver letto la scritta, partivano alla ricerca del tesoro visto che Don Diomede era uno degli uomini più potenti della Napoli del XV secolo ed aveva accumulato fortune immense: rimaneva solo da capire dove avesse nascosto questo tesoro e chi avrebbe trovato quella enorme ricchezza.

Il ramo dei Carafa di Maddaloni, proprietari originari del palazzo, si estinse nel XVI secolo e il mistero si infittì ulteriormente dato che, se gli eredi diretti non avevano trovato nulla, era ancora più improbabile che i nuovi occupanti avrebbero avuto fortuna. Nessuno continuava a capire il senso di quella frase finché uno sconosciuto non ebbe un colpo di genio: il tesoro era il cavallo stesso. O meglio: i suoi occhi che, una volta cavati, rivelarono dei diamanti. Non ci sono testimonianze storiche sulla presenza di questi diamanti, oltre al fatto che nel XV secolo non erano oggetti facilmente reperibili. Ma la leggenda, diffusissima presso il popolo napoletano, suscitava le invidie di tutti, pensando alla fortuna del misterioso personaggio che si era arricchito grazie ad un colpo di genio. Dobbiamo prendere per buona solo una parte di questa leggenda, che la scultura si chiama “Cavallo Carafa” o “Testa Carafa” perché si trovava nel palazzo del dignitario di corte di Alfonso d’Aragona. Secondo molti autorevolissimi storici dell’arte del calibro di Giorgio Vasari, infatti, la scultura è figlia delle mani di Donatello.

Anche altri elementi confermano la teoria che Bartolomeo Capasso rinvenne, sul finire del XIX secolo, una lettera scritta proprio da Diomede che ringraziava Lorenzo il Magnifico per avergli donato la protome. Studi seguenti hanno anche trovato le ricevute di pagamento dell’artista toscano e si può dire con certezza che Donatello sia l’autore del monumento. Questa protome era poi solo un piccolo pezzo di una scultura molto più grossa, dalle dimensioni di circa 5 metri d’altezza, che doveva celebrare Alfonso d’Aragona a cavallo. Non fu però mai realizzata perché il re di Napoli morì nel 1458 e Donatello lo accompagnò nell’oltretomba nel 1466.

Giuseppe Bonaparte decise poi di spostarlo nel Museo Archeologico Nazionale e, per non perdere la presenza del monumento nel suo luogo storico, fu posizionata in seguito una copia realizzata in terracotta e non in bronzo, come invece era l’originale. Il palazzo successivamente passò al figlio di Diomede e ancora dopo, poiché i conti di Maddaloni non ebbero eredi, divenne proprietà del ramo dei Carafa di Columbrano, che lo ristrutturarono riportandolo ai vecchi splendori dopo anni di abbandono. Dopo la morte della duchessa Faustina Pignatelli, moglie di Francesco Carafa di Columbrano, il palazzo ritornò di nuovo nell’oblio e nel 1815 venne acquistato dai Santangelo che lo adibirono a museo privato.

Storie e leggende che si intrecciano su opere affascinanti presenti nella città magica di Napoli. Un motivo in più per visitarla e percepirne la maestosità che si cela dentro le stradine del centro storico che avvolgono la lunga tradizione fatta di racconti che tanti invidiano.

Innocenzo Calzone

Giornalista pubblicista, architetto e insegnante di Arte e Immagine alla Scuola Secondaria di I grado presso l’Istituto Comprensivo “A. Ristori” di Napoli. Ha condotto per più di 13 anni il giornale d’Istituto “Ristoriamoci”. Partecipa e promuove attività culturali con l’associazione “Giovanni Marco Calzone” organizzando incontri e iniziative a carattere sociale e di solidarietà. Svolge attività di volontariato nel centro storico di Napoli con attività di doposcuola per ragazzi bisognosi; collabora con il Banco Alimentare per sostenere famiglie in difficoltà. Appassionato di arte, calcio e musica rock.

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