MILANO – Una mostra da non perdere: “Milano da romantica a scapigliata” al Castello di Novara, dal 22 ottobre 2022 al 12 marzo 2023. Percorsi d’arte che attraverso una settantina di capolavori eseguiti dai maggiori protagonisti della cultura del panorama artistico milanese del periodo descrivono le profonde trasformazioni storiche, politiche, economiche e urbanistiche che hanno interessato Milano negli anni centrali dell’Ottocento. Questi sono stati decenni molto turbolenti che hanno segnato la storia di Milano. La caduta del Regno d’Italia napoleonico, la costituzione del Regno Lombardo Veneto e la seconda dominazione austriaca, le prime rivolte popolari e le guerre d’indipendenza fino alla liberazione hanno lasciato ferite profonde nella città e gli artisti dell’epoca ne hanno narrato le vicende attraverso le loro opere d’arte.
La mostra “Milano da romantica a scapigliata” ripercorre una stagione memorabile spaziando tra vedute urbane e ritratti, scene di vita quotidiana e soggetti storici. Organizzata in modo da delineare un percorso espositivo suddiviso in sezioni che seguono l’andamento delle sale del Castello Visconteo Sforzesco, ripercorre attraverso il susseguirsi delle opere d’arte selezionate, l’evoluzione della pittura lombarda dal Romanticismo alla Scapigliatura. La prima sezione della mostra è stata dedicata alla “pittura urbana”, termine che fu coniato da Defendente Sacchi nel 1829 per definire un nuovo genere di veduta prospettica elaborato dal pittore alessandrino Giovanni Migliara (1785-1837). Ed è proprio partendo da alcuni dipinti di Migliara, in particolare la Veduta di Piazza del Duomo in Milano del 1828, che è possibile illustrare l’evoluzione del paesaggio urbano in epoca romantica.
E se nella prima sezione la città viene presentata come il “palcoscenico” ideale della narrazione del periodo storico di riferimento, nella seconda si passa invece alla presentazione degli “attori protagonisti” della storia milanese di quegli anni. Sono esposti “ritratti ambientati” eseguiti da Giuseppe Molteni (1800-1867) che rappresenta una figura poliedrica dell’epoca: pittore, restauratore, ritrattista di fama internazionale. Sempre nella seconda sezione sono presenti opere di Francesco Hayez, rinnovatore del ritratto. Tra le opere in mostra dei due grandi artisti: il Ritratto di Alessandro Manzoni di Molteni, e il Ritratto della contessa Teresa Zumali Marsili con il figlio Giuseppe che sicuramente rappresenta uno dei maggiori esempi della ritrattistica di Hayez, esposto a Brera nel 1833.
Tra altri artisti da annoverare c’è Carlo Arienti (1801-1873), autore impegnato fin dalla prima metà degli anni quaranta in una ricerca personale che ruotava intorno alla potenzialità espressiva del colore. Ad Arienti si aggiungono i fratelli Domenico (1815-1878) e Gerolamo Induno (1825-1890), che pur essendo molto diversi tra loro, sono pittori significativi del loro tempo. Lo fanno raccontando la storia degli umili e degli ultimi.
La terza sezione invece viene dedicata interamente alle Cinque giornate di Milano e agli episodi cruciali che nel marzo del 1848 hanno portato alla temporanea liberazione di Milano dalla dominazione austriaca: i famosi moti del ’48. Tra gli autori scelti a rappresentare quei momenti c’è Carlo Bossoli (1815-1884), che raggiunse la notorietà internazionale attraverso dipinti per lo più a tempera che rievocavano le guerre d’indipendenza, Carlo Canella (1800-1879), fratello di Giuseppe, e ancora Baldassare Verazzi (1819-1886), presente alla mostra con un’opera considerata il suo capolavoro: Combattimenti a Palazzo Litta.
La quarta sezione è dedicata ai lavori dei fratelli milanesi Domenico e Gerolamo Induno, tra i maggiori protagonisti della scena figurativa di quei decenni. In modo sapiente hanno saputo rappresentare gli umili interni domestici della gente comune della Milano di quegli anni raccontando la loro storia, il loro vivere quotidiano, i drammi e le difficoltà di quei tempi. A tal proposito val la pena di citare il celeberrimo “Pane e lacrime” , di Domenico Induno.
La quinta sezione espone alcuni lavori di autori fondamentali nel rinnovamento del linguaggio pittorico come Eleuterio Pagliano (1826-1903), Giuseppe Bertini (1825-1898), Piccio presente con il Ritratto di Gina Caccia, del 1862, Federico Faruffini (1833-1869), per citarne alcuni. Tutti impegnati fin dai primi anni sessanta nell’elaborazione di un nuovo linguaggio che potesse risultare idoneo a comunicare in senso moderno il “vero”.
La sesta sezione è dedicata al sistema di Filippo Carcano, definita la pittura scombicchierata e impiastricciata. Carcano costruiva le immagini attraverso l’uso del solo colore e questa scelta fu abbracciata con entusiasmo da altri giovani artisti come Giuseppe Barbaglia (1841-1910), Vespasiano Bignami (1841-1929) e Mosè Bianchi (1840-1904). La settima sezione invece segna il passaggio vero e proprio verso la Scapigliatura. Ed ecco quindi che il percorso espositivo prosegue con alcune opere significative dipinte da Tranquillo Cremona (1837-1878) e Daniele Ranzoni (1843-1889).
L’ultima sezione, l’ottava, evidenzia l’affermazione e il trionfo del linguaggio scapigliato. Così essa accoglie alcuni dei maggiori capolavori scapigliati eseguiti dalla metà degli anni settanta ai primi anni ottanta. Tra questi vale la pena di citare “Melodia” e “In ascolto” , tele straordinarie eseguite da Cremona su commissione dell’industriale Andrea Ponti tra il 1874 e il 1878, “Visita al collegio” , ancora di Cremona, nonché alcuni ritratti eseguiti da Ranzoni,quali il Ritratto della signora Luigia Pisani Dossi e il Ritratto di Antonietta Tzikos di Saint Leger. Nella sezione anche due belle sculture in bronzo e gesso di Giuseppe Grandi: La Pleureuse (1875-1878) e Beethoven giovinetto (1874). Una mostra proprio da non perdere! C’è tempo fino al 12 marzo del nuovo anno per visitarla.
Margherita Bonfilio
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