ROMA – L’attenzione come chiave di una vita non solo serena ma addirittura gioiosa, non routinaria né scontata. Una vita vissuta. Lo sostengono le filosofie orientali e soprattutto lo insegnano le scuole di meditazione che indicano nella cura della natura la strada da perseguire per trovare un equilibrio, stato che è facile smarrire presi come siamo da ritmi convulsi e soffocanti, dalla competizione e dall’arrivismo. Questi, infatti, ci chiedono di essere sempre performanti e perfetti ma poi trascuriamo quello che c’è dentro di noi, le nostre relazioni con gli altri e perdiamo l’orientamento, ci deprimiamo e non abbiamo più voglia di vivere.
La pandemia ha solo svelato questo fenomeno che però esisteva già. Era un enorme iceberg di cui prima era evidente la punta. E così il Servizio di prevenzione dell’Azienda Ospedaliera Sant’Anna di Roma, per esempio, ha rilevato un aumento del 50 per cento di segnalazioni legate al suicidio tra il 2020 e il 2021, mentre nel solo ultimo anno ben 3mila persone si sono rivolte al Telefono Amico preoccupate per le proprie tendenze al cosiddetto “vizio assurdo” come Cesare Pavese chiamava la voglia di togliersi la vita. Il malessere psicologico c’è, ma è pur vero che c’era anche prima, solo che i più facevano fatica ad ammetterlo. La solitudine imposta dall’emergenza sanitaria ha tolto il tappo alla pericolosa accidia, al tedio, al non senso di molte esistenze vissute in superficie, senza l’attenzione e la curiosità necessarie. E così sono esplosi il disagio psicologico, il ricorso agli psicofarmaci, la voglia di morire.
Tolti il rumore e l’ebbrezza di una società impazzita e confusionaria che pensava di poter essere felice con gli aperitivi e gli accessori di lusso, l’isolamento ha gettato molti nello scoramento dello stare soli con se stessi e – cosa peggiore – del non riconoscersi. Molti hanno temuto di essere stati depauperati delle frivolezze e del surplus che in realtà avevano solo offuscato la loro vista, non migliorato la messa a fuoco.
C’è il testo di una canzone famosissima, che oggi si sente spesso nella splendida versione dei Negramaro del 2006 ma fu cantata la prima volta da Domenico Modugno, proprio sul tema dell’emozione come elemento centrale di una vita vissuta nella sua pienezza. Il successo di questa canzone si spiega proprio con il suo messaggio intrinseco che arriva anche laddove chi ascolta non è consapevole del motivo per cui ciò avviene. Si tratta di “Meraviglioso”, un moderno “Cantico delle Creature”, un vero inno alla vita capace di toccare gli animi di persone di ogni età e condizione sociale perché le emozioni non fanno torti e sono accessibili a tutti. A patto che si rendano disponibili.
Il testo, scritto da Riccardo Pazzaglia per l’edizione di Sanremo del 1968 ma bocciato perché aveva per tema il suicidio, è di una semplicità disarmante eppure la dice tutta sul mistero della vita, che non è tale se non la si guarda con l’attenzione necessaria a stupirsi della sua bellezza, una droga naturale che rende felici. E questa bellezza non sta in qualcosa di straordinario ma proprio in ogni elemento della natura: il sole, il mare, l’amicizia, l’amore di una donna, il sorriso di un bambino che sono lì da sempre, per tutti. Così, c’è una domanda nella canzone che arriva dopo un elenco di cose di cui “accorgersi”, da “guardare” e da “vedere”. Essa viene posta ad un uomo intenzionato a farla finita ed è la seguente: “Ti sembra niente?”. Il problema è proprio questo: pensavamo di essere progrediti ed evoluti perché riuscivamo a soddisfare (soprattutto) bisogni superflui come se questo ci desse più importanza e valore di fronte agli altri. Però non avevamo cura delle nostre emozioni, quelle pure che possono scaturire dalla vista di un tramonto o dal nostro stesso dolore, che nel testo sono considerati “doni”.
Seguire i dettami del consumismo che rende tutto vecchio dopo il primo uso ci ha tolto il gusto di considerare sufficiente, quando non abbondante, tutto quel che possediamo già. L’arricchimento e le mode ci hanno resi infelici e ci hanno iscritto ad una gara senza fine in cui non vince nessuno, ma tutti stanno male. Questa corsa non ci ha dato il tempo di guardare intorno a noi e di essere grati per tutto ciò che, nascendo, abbiamo avuto in dotazione. Esso è il creato, che abbiamo a disposizione da quando siamo nati ma con cui spesso perdiamo il contatto. Ecco perché questa canzone ci piace ancora tanto e ci viene da cantarla quando Giuliano Sangiorgi dei Negramaro la interpreta a pieni polmoni realizzando qualcosa di bello ed emozionante, cui prestare attenzione e cura.
Acuendo la nostra sensibilità possiamo percepire anche che l’uso della voce, per lui, è uno di quei doni della natura che possono rendere tutto così “Meraviglioso” e probabilmente ne è molto grato, almeno a giudicare dal risultato.
Gloria Zarletti
Nell’immagine di copertina, il monumento a Domenico Modugno a Polignano a Mare (Bari)
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