ROMA – Arriva il Natale e si pensa subito ai regali. O ai doni? Forse, nella foga degli acquisti non ci abbiamo mai pensato ma la differenza tra i due concetti è sostanziale. Il significato di ogni pacco che riceviamo o offriamo non è così scontato: tutto dipende dall’intenzione che si infonde nel gesto. Il più delle volte ciò che acquistiamo per una persona è proporzionato a ciò che essa rappresenta, o all’obbligo che nutriamo nei suoi confronti. Sarà capitato a tutti di sbuffare nel “dovere” fare un pensiero a qualcuno o di rimanere in imbarazzo se il pacco arriva da chi non ci saremmo aspettato, solo come contropartita per una cortesia e non per un gesto spontaneo. Ma che tristezza che questo sia il motivo dello scambio che avviene nelle ricorrenze ma, soprattutto, a Natale! Eppure questo succede, ammettiamolo.
Non sempre offrire o ricevere dà gioia e probabilmente questo dipende da un fraintendimento. Insomma, cos’è che ci dà fastidio: fare doni o fare regali? Perché, si badi bene, non è la stessa cosa e se ne può capire il motivo andando a scrutare cosa dice la radice di questi due termini, il che rende sempre ragione di ogni comportamento. Dono e regalo non hanno lo stesso significato e sono l’espressione di due disposizioni d’animo che non hanno niente a che fare l’una con l’altra. Dono, termine di matrice indoeuropea, è ciò che si dà o si riceve a titolo puramente gratuito senza pretendere o dover restituire niente in cambio.
Si dona con trasporto, con l’intenzione di dare qualcosa di se stessi e non a caso si dice “ti dono il mio cuore” oppure “ti dono il mio tempo”, valori che non hanno prezzo né si possono ricambiare se la loro percezione non è già nelle cose. Perché il cuore, il tempo, la stima non si regalano ma si concedono naturalmente. Il dono è quindi ciò con cui ci si dà agli altri, indipendentemente dalla ricorrenza, è ciò con cui si esprime la vicinanza attraverso un oggetto che diventa pegno, impegno ad un legame di anime. Vale nell’amicizia o nell’amore, come anche nella stima, tutti sentimenti non condizionati da obblighi o scadenze. Per questo il passo di fare un dono (non un regalo…), comporta coraggio perché con esso ci si espone, ci si dà senza veli all’altro manifestandogli di averlo avuto nei propri pensieri, tanto da avergliene portato una materializzazione. Ecco perché il dono non si può fare a chiunque: ne può essere destinatario solo chi possa non sentirsi in obbligo di ricambiare perché quel dono è stata la manifestazione estemporanea di un affetto autentico, gratuito come deve esserlo un rapporto sincero. Il dono va compreso in quanto tale, nel suo essere svincolato da regole. Il destinatario è il prescelto per un gesto nobile, disinteressato, che non preveda risposte di sorta o obblighi. Il filosofo romano Seneca sosteneva che il dono si può farlo a veramente poche persone, quelle che possano capirlo e non ne rimangano condizionati: esso infatti deve rimanere tale, sciolgto da vincoli,non qualcosa da ricambiare con un oggetto dello stesso peso.
E’ per questo che il regalo, di ben altra portata, comporta un impegno più gravoso, una scocciatura. Spesso è associato al termine “pacco”, espressione che solo a sentirla nominare porta il pensiero a qualcosa di più ingombrante, rumoroso. Il regalo deve fare scena, lo si consegna in maniera eclatante, sovente tramite un facchino, davanti agli altri, si scarta in pubblico e si mostra perché deve essere la materializzazione di qualcosa: ringraziamento, riconoscenza, misericordia, senso di colpa, consolazione. Difficilmente un regalo viene dato nell’intimità, si preferisce darlo in pubblico. Il motivo sta tutto scritto nella sua radice semantica. Regalo viene dal latino rex che significa re. Poi in spagnolo esso diventò ciò che il suddito offriva al sovrano, in ginocchio, al suo cospetto. Per questo, con un tanto grande destinatario, non poteva essere una cosa qualsiasi ma doveva essere proporzionale al motivo per cui veniva corrisposto e alla persona, in una sorta di “do ut des” in cui c’era poco di spontaneo, anzi. L’oggetto nel pacchetto doveva essere consegnato come sfoggio di affetto o, ancor peggio, di riconoscenza in certe occasioni. Il pensiero corre lontano, a quanta strada ha fatto questo scambio di “cortesie” negli uffici pubblici dove il cosiddetto “presente”, dagli antichi romani ai giorni nostri, ha preso la “tangente” per diventare materia per la guardia di finanza. Nella storia il passaggio dai regali, alle regalìe e poi alle tangenti è stato spesso, per tutti questi motivi, breve.
Quanta verità nell’origine delle parole! E quanta attenzione dovremmo riporre nei nostri pensierini da mettere sotto l’albero, una volta eliminato l’equivoco! E allora, detto questo, ci sta bene un invito alla spontaneità. L’idea per questo Natale potrebbe essere quella di fare meno noiosissimi e costosissimi regali ma più doni che, visto il loro alto valore intrinseco, sono simbolo di qualcosa di molto di più e costano pure di meno.
Gloria Zarletti
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