ROMA – Al Teatro dell’Opera in questi giorni, e fino al 5 dicembre, è in scena un nuovo allestimento, in coproduzione col Teatro Real di Madrid, del “Mefistofele” (1868 e 1875) dello scrittore, apprezzato librettista e compositore ‘scapigliato’ Arrigo Boito, che così inaugura la stagione dell’Opera.
Ritenuta creazione di minore impegno rispetto alle fatiche letterarie, viene rappresentata raramente. È peraltro un’opera monumentale, in un prologo e quattro atti (dei cinque iniziali del 1868), con grande spazio per il Coro, specie quello delle voci bianche paradisiache dell’ensemble del Teatro dell’Opera, distribuite immobili lungo le pareti del palcoscenico, insieme col Coro misto, in candide vesti nella felice soluzione del regista australiano di gran nome Simon Stone.
L’aver poi da subito, da parte del direttore musicale stabile Michele Mariotti, affrontato nel prologo l’incontenibile potenza sonora degli strumenti impersonanti la visione dell’aldilà, è stato un colpo di bravura indiscusso. Ma sempre al giungere in scena di Mefistofele (voce senza esitazioni di John Relyea), un breve e tagliente accordo ripristinava il demoniaco onnipresente nell’opera. Spiacevano certe gratuità registiche: la plastica delle palline multicolori in lunghi recinti, a significare il fiorito giardino dell’amore di Faust (bellissima voce del rodato Joshua Guerrero) e Margherita (la celebrata e però non persuasiva negli acuti Maria Agresta), o anche i militari (ucraini?) con mitragliatrici nel Sabba, e nella corte della biancovestita Elena di Troia (la stessa Agresta).
E spiacevano le vesti ‘900 di molti personaggi, come anche la morte di Faust in un ospizio popolato di camici bianchi, a fronte del candore delle creature angeliche onnipresenti in scena, incarnanti il perenne dualismo fra Bene e Male, sempre simboleggiato da Faust. Ma atto per atto si assommavano la bellezza dei Cori col loro canto celeste, la delicatezza dei suoni d’orchestra costanti in presenza di Margherita, preparando la salvezza spirituale di Faust.
Si assommavano infine la bellezza musicale, l’efficienza scenica pur talora tendente a scadere, e la forza dei contenuti simbolici, validi straordinariamente anche oggi.
Paola Pariset
Nell’immagine di copertina, Maria Agresta (Margherita), Joshua Guerrero (Faust) (foto Fabrizio Sansoni)
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