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Medici senza frontiere: “Accoglienza doverosa”

di | 2022-11-18T19:03:56+01:00 20-11-2022 6:05|Attualità, Sezione 2|0 Commenti

RIETI – Dopo uno sbarco parziale, l’8 novembre anche le 213 persone rimaste a bordo della nave Geo Barents, hanno avuto l’autorizzazione a scendere al porto di Catania, in seguito alla valutazione delle autorità sanitarie italiane. “Abbiamo accolto la notizia con gioia e sollievo, ci auguriamo che tutte le persone ricevano a terra l’assistenza necessaria. Hanno affrontato torture e abusi in Libia, un viaggio pericoloso, diversi giorni sulla nostra nave e ci siamo sentiti incapaci di spiegare loro perché non avessero tutti il permesso di sbarcare. Un’attesa prolungata, ingiustificata e, soprattutto, inumana, finalmente finita” dichiara Medici Senza Frontiere, organizzazione indipendente, con progetti in 70 Paesi, finanziata da cittadini, aziende e fondazioni selezionate, un bilancio trasparente e certificato, consultabile online (medicisenzafrontiere.it).

Nel mondo ci sono 160 guerre in corso, di cui neanche si parla. Ce le ricorda Papa Francesco, continuando a fare appelli per la pace. E viene sempre in mente il monologo finale di Alberto Sordi nel film “Finché c’è guerra c’è speranza”. A prescindere dai Governi, gli sbarchi non si sono mai fermati, con o senza le missioni di aiuto delle ONG e il Mare Nostrum è un enorme cimitero. La Geo Barents cosa fa nel Mediterraneo? Medici Senza Frontiere lo spiega: “Dal 2015 i nostri team a bordo di navi di ricerca e soccorso salvano vite in mare e testimoniano con orrore la tragedia che si svolge alle porte dell’Europa, mentre migliaia di persone rischiano di annegare nel Mediterraneo centrale o vengono respinte in Libia. Dal 2021 siamo in mare con la nostra nave per soccorrere persone in pericolo e fornire assistenza medica d’emergenza”.

Perché lo fate, cosa spinge uomini, donne, minori a intraprendere viaggi nella rotta migratoria più letale al mondo, con minori non accompagnati, quale genitore affiderebbe al destino un figlio piccolo e perché non partono in aereo, con i documenti in regola? “Le persone che soccorriamo arrivano quasi sempre da contesti di conflitto, estrema povertà e violenza. Per poter salire su un aereo occorre un passaporto regolarmente rilasciato e un visto, cosa che per molti è praticamente impossibile: il diritto alla mobilità è uno dei tanti diritti che viene negato. Nessuno affronterebbe consapevolmente un viaggio così pericoloso se non fosse l’unica via per sopravvivere. Non ci stancheremo mai di chiedere vie legali e sicure per chi è costretto a fuggire dal proprio paese”.

Quante sono le persone soccorse dalle ONG? “Negli ultimi dodici mesi, dei 95 mila arrivi in Italia, solo il 14% è riconducibile alle attività di ricerca e soccorso delle navi delle ONG presenti nel Mediterraneo. Il resto degli arrivi è avvenuto in maniera autonoma, come nel caso di barchini sbarcati sulle coste di Lampedusa o della Calabria, oppure grazie ai soccorsi effettuati dalla Guardia Costiera italiana o da mercantili privati (Fonte: Matteo Villa/ISPI)”. Ciò significa che quasi 9 migranti su 10 raggiungono le coste italiane senza l’aiuto delle imbarcazioni delle ONG e che, quindi, anche senza di loro, queste persone sarebbero arrivate lo stesso in Italia.: perché non li riportate in Libia o in Tunisia? ”Non siamo noi a decidere i porti di sbarco, ma le autorità marittime competenti, come previsto dal diritto internazionale e marittimo. Il diritto internazionale prevede espressamente che le persone soccorse in mare debbano essere portate in un luogo sicuro, che l’Agenzia dell’ONU per i rifugiati (UNHCR) e la Commissione Europea hanno stabilito essere il porto sicuro più vicino”.

Medici Senza Frontiere ricorda la propria missione, la cui priorità è “il benessere delle persone soccorse, per questo cerchiamo di sbarcarle tempestivamente nel porto sicuro più vicino e la Libia non lo è, come hanno affermato anche l’UNHCR, l’Alto commissariato delle nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR) e il Segretario Generale dell’ONU. Noi siamo presenti in alcuni centri di detenzione libici dove forniamo cure mediche e vediamo con i nostri occhi le condizioni disumane in cui sono trattenute le persone, esposte a cicli di abusi, estorsioni e violenze. La Tunisia è meno pericolosa della Libia, ma resta al di sotto dei livelli minimi di sicurezza”.

Un porto sicuro è un luogo in cui la sicurezza dei sopravvissuti non sia a rischio, i bisogni umani essenziali possano essere soddisfatti, il trasferimento dei sopravvissuti verso una nuova destinazione, temporanea o definitiva, possa essere organizzato, i diritti fondamentali, tra i quali quello a non essere respinti, siano tutelati. Perché non li portate in un altro stato europeo o nello stato di bandiera della vostra nave (Norvegia nel caso di MSF)? “Non siamo noi a decidere. Sono le autorità degli Stati che coordinano i soccorsi a indicarci il porto in cui sbarcare, che per legge deve essere il luogo sicuro più vicino ovvero, per i soccorsi nel Mediterraneo centrale, Italia o Malta. Una volta sbarcate in un luogo sicuro, si possono iniziare le procedure per la richiesta di asilo e il ricollocamento in altri paesi”.

Gli stati europei di confine, come Italia, Grecia e Spagna, continuano a gestire la maggioranza degli arrivi di migranti e richiedenti asilo, perché il sistema europeo è inefficiente. “È compito dei governi europei trovare un accordo su un sistema di ricollocamento dei richiedenti asilo più equo e funzionale – prosegue MSF – Oggi sono molte di più le persone che vengono riportate nell’inferno dei centri di detenzione in Libia, che quelle che arrivano in Italia. Ricordiamo che i paesi che ospitano più rifugiati per quantità e per percentuale, non sono né l’Italia, né altri paesi europei, ma paesi come Turchia, Pakistan, Uganda e Libano”.

Dopo lo sbarco in Italia chi pensa all’accoglienza e all’integrazione? “Le ONG operano in acque internazionali, di fronte a una persona che rischia di annegare, la prima cosa è salvarla e metterla fuori pericolo: siamo medici, non facciamo politica. I momenti dell’accoglienza e dell’integrazione sono successivi e tutti i governi europei devono assumersene la responsabilità, sono comunque misure d’emergenza messe in atto a causa di un sistema d’asilo europeo non funzionante”.

A fare gli interessi dei trafficanti sono le politiche degli stati europei che impediscono l’esistenza di vie legali e sicure “costringendo rifugiati e migranti a mettersi nelle mani dei trafficanti rischiando la vita. Solo aprendo canali legali e sicuri per chi fugge è possibile colpire in modo definitivo le reti di trafficanti e porre fine alle ingiustificate morti in mare, noi chiediamo l’avvio di un meccanismo di accoglienza condiviso a livello europeo. Serve uno sforzo congiunto per costruire un sistema comune più umano, che garantisca il diritto alla vita e un’accoglienza dignitosa a uomini, donne e bambini che non hanno alternative”.

Francesca Sammarco

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