NUORO – Matteo Luca Boe nasce a Lula il 9 novembre del 1957. È stato uno dei principali esponenti del banditismo sardo, unico nella storia a evadere dal carcere di massima sicurezza dell’Isola dell’Asinara, che poteva in passato essere considerato una sorta di seconda Alcatraz, in quanto, nei suoi 112 anni di attività, solo un detenuto riuscì a fuggire dalla prigione a bordo di un gommone il primo settembre 1986: si tratta appunto di Matteo Boe. Dopo aver conseguito il diploma presso l’Istituto tecnico agrario di Nuoro nel 1983, si trasferisce a Bologna dove si iscrive alla facoltà di Agraria. Simpatizzante fin dal 1971 del PCI, nella città emiliana collabora con i movimenti rivoluzionari sardi. Nel 1983, in seguito del sequestro della 17enne Sara Niccoli, figlia di Mario, industriale di filati del Pistoiese, una ragazza che, nonostante i suoi 118 giorni di prigionia, ricorda il suo sequestratore come una figura amante della buona letteratura e che le offriva da leggere libri di Kafka e Dostoevskij per rendere meno dura la sua detenzione lontano da casa.
Boe, il cui nome da giovane bandito sequestratore era Carlos, viene arrestato e condannato a 16 anni di carcere da scontare inizialmente presso Pianosa e in seguito nel carcere di massima sicurezza dell’Asinara. Dopo la sua rocambolesca fuga si nasconde nel monte Albo, presso Lula, suo paese natale, e qui vi rimane per circa sei anni, sebbene costantemente ricercato dalle forze dell’ordine che riusciranno a stanarlo solo con l’operazione “Forza Paris” condotta dall’Esercito Italiano in Sardegna. A seguito del suo arresto Boe sconterà ulteriori sei anni di carcere. Il 1988 vede Boe nuovamente protagonista di un sequestro, quello dell’imprenditore romano 56enne Giulio De Angelis rapito nella sua villa del Pevero, a Porto Cervo, il 12 giugno. I rapitori, coordinati da Matteo Boe, avevano fatto irruzione in casa del costruttore laziale durante la notte e avevano portato via l’uomo che era rimasto in ostaggio dell’Anonima sequestri per 142 giorni, fino al 31 ottobre del 1988, quand’era stato rilasciato nelle campagne di Badde Salighes, in territorio di Bolotana. Per il suo rilascio era stato pagato un riscatto di 3 miliardi e 200 milioni di lire, tutte in banconote di piccolo taglio contenute in bustoni della spazzatura.
Le gesta dell’ ex primula rossa continuano con il rapimento dell’imprenditore Marzio Perrisi, che avviene alle prime luci del mattino del 28 dicembre 1988 presso Fasano (Brindisi). Sono le sei del mattino quando un commando costituito da tre persone rapisce l’imprenditore appena uscito da casa per andare a lavoro. Il rapimento durerà 196 giorni. Perrini, incatenato ai piedi e al collo, sarà liberato alle 22 dell’11 luglio 1989 presso Marina di Ginosa (Taranto), dopo il pagamento del riscatto pattuito. Ma Matteo Boe viene soprattutto ricordato per il sequestro del piccolo Farouk Kassam, strappato all’affetto dei genitori Marion e Fateh Kassam alla tenera età di 9 anni dalla villa di Porto Cervo il 15 gennaio 1992 per essere rilasciato solo il 10 luglio dello stesso anno, dopo 177 giorni di prigionia. La grotta di Lula, dove Farouk trascorre i suoi 177 giorni di prigionia, è in cima a una montagna. È un cunicolo lungo 18 metri, rivestito di calcare a causa dell’ umidità. Il letto che lo ospita è un giaciglio di foglie dove è costretto a rimanere immobile per mesi.
I banditi costringono il bambino a stare sdraiato e voltato da una parte e le violenze nei suoi confronti sono inaudite. L’unico cibo che gli veniva offerto era ”su porcheddu”, la carne di maiale arrosto, che degustata ogni giorno, per un bambino così piccolo, risulta molto pesante. Perciò, quando Farouk si rifiutava di mangiare quanto per lui preparato, era ripagato con frustate sulla schiena. Giornate interminabili trascorse disegnando con un sassolino sulla parete una casa e con la paura che i grossi topi che infestavano la grotta potessero assalirlo. Ma il gesto disumano che segna questo sequestro è l’orribile taglio dell’orecchio compiuto da Matteo Boe su Farouk con un paio di forbici e le sue orecchie vengono riempite di colla, una specie di Bostik, per impedire al bambino di ascoltare i discorsi dei sequestratori. Quando Farouk viene liberato vengono impiegate diverse ore per ripulirle e per detergere quell’esile corpo che per mesi e mesi non ha mai visto né acqua né sapone. Ma i postumi di questa terribile esperienza sono stati ossa decalcificate e difficoltà di parola, tanto che il bambino, dopo mesi di silenzio obbligato, si esprimeva con un flebile miagolio. E quando mesi dopo tornerà nella grotta con gli inquirenti, nonostante il pieno recupero della capacità verbale ed espressiva, una volta dentro, ricomincia a miagolare. Nessuna forma di rispetto o umanità.
Matteo Boe, da latitante, viene indicato come uno degli artefici dell’efferato gesto e il 13 ottobre 1992 viene arrestato dalla polizia francese a Porto Vecchio, in Corsica, mentre trascorre, presso l’Hotel “U Palmu” qualche giorno assieme all’ex compagna e ai tre figli Luisa, Luca e Andrea. Trasferito in carcere a Marsiglia, con l’accusa di possesso d’armi e dichiarazione di false generalità, viene formalmente indicato dalla magistratura italiana come uno dei mandanti e degli esecutori materiali del sequestro Kassam, perciò viene richiesta la sua estradizione che avverrà solo nel novembre del 1995 e in seguito sarà condannato nel 1996 a venti anni di carcere. Dopo un lungo peregrinaggio in vari carceri dalla sua cella apprende la dolorosa notizia della morte della figlia. Il 25 novembre del 2003 viene uccisa infatti in un agguato a Lula la figlia primogenita, Luisa Manfredi, di 14 anni. L’obiettivo della scarica di pallettoni, che la colpì mortalmente alla tempia mentre stendeva i panni sul balcone di casa, secondo gli inquirenti era forse la madre Laura Manfredi cui la ragazza somigliava molto.
Nel 2017, finita di scontare la pena presso il carcere di Opera, a Milano, Boe viene rimesso in libertà. Avrebbe dovuto scontare per i reati commessi circa 85 anni di carcere, ma l’articolo 78 del codice penale ha ridotto la pena a soli 30 anni. Oggi Matteo Boe vive a Lula nella casa di famiglia e dopo aver seguito presso la Evolvere srl un corso, vorrebbe fare la guida ambientale in quelle località che lo hanno visto nascere e crescere e che conosce molto bene.
Un dilemma comunque assale: perché una persona colta, carismatica, benestante, che avrebbe potuto avere un futuro roseo e ricco di soddisfazioni, da studente di agraria alla facoltà di Bologna, durante i turbolenti anni settanta, ha deciso di diventare un bandito, un sequestratore, un uomo capace di sfidare la legge e di dimostrare di non avere il senso della misura e il rispetto per il prossimo? A questo interrogativo è difficile dare una risposta, forse nemmeno Matteo Boe riesce a darla a se stesso prima che agli altri, possiamo solo supporre che in lui il male sia sempre prevalso rispetto al bene e nelle sue scelte di vita l’abbia sempre fatta da padrone.
Virginia Mariane
Per quello fatto al bambino, olliara morti. Altro che prigione.