PERUGIA – Un brutto “giallo” dove la morte non arriva dal fuoco delle pistole o dei mitra, da coltelli dalla lama scintillante, che spuntano nell’ombra, ma dagli aghi delle siringhe. Una overdose di ketamina ha stroncato la vita dell’attore Matthew Langford Perry, 54 anni, trovato morto – l’anno scorso: 28 ottobre 2023 – annegato nella vasca Jacuzzi della sua villa in Blue Sail Drive a Los Angeles, a due passi da Malibu. E ad inoculargliela amici e conoscenti. Questo almeno riporta l’accusa che la procura di Los Angeles, sulla scorta di tutta una serie di esami e di accertamenti tecnici, ha formulato nei confronti di un gruppo di sette persone tra le quali un medico, l’assistente personale dell’attore e la “The ketamine queen” (regina della ketamina), tale Jasveen Sangha, 41 anni, amica da tempo della vittima e, a parere dalla procura, fornitrice abituale della pericolosa sostanza, usata, in genere in ambito ospedaliero, per prolungare gli effetti delle anestesie e pure, da qualche anno, per curare depressione ed ansia.
Lo spaccato che emerge dall’inchiesta appare davvero non solo tragico e doloroso, ma anche sconcertante. Uno dei coinvolti commenta, con cinismo, la dipendenza dell’attore alle droghe con la frase: “Chissà quanto ce la pagherà questo stupido…”. Lo sfruttavano per arricchirsi e, al contempo, si facevano beffe di lui, della “gallina dalle uova d’oro” per i loro loschi traffici. L’inchiesta ha messo in luce – anche tramite intercettazioni e controlli sui cellulari e sui profili social – che nelle ultime settimane di vita, Perry si era fatto infiltrare dal proprio assistente, ben 27 volte la ketamina. Che pagava duemila dollari a fiala (in commercio costa 12 dollari). In due mesi il popolare attore avrebbe versato ai suoi fornitori di sostanze vietate qualcosa come 55mila dollari.
Perry aveva seguito le orme del padre (John Bennet Perry; sua madre era stata a capo della segreteria stampa del premier canadese Pierre Trudeau) e da Ottawa e Montrèal (dove era cresciuto – accudito dalla madre nel frattempo divorziata -, pur essendo nato nel Massachuttes) si era trasferito a Los Angeles fin da studente delle superiori. Brillante giocatore di tennis in età giovanile (e fino a poche ore prima del decesso si rilassava con il “pickleball”, variante delle racchette) ed amante del mare, nel 1997 aveva subito un incidente con una moto d’acqua. In quel momento stava girando un film (“Mela e Tequila”) con la splendida Selma Hayek. Pare che per la depressione e il dolore, seguiti al sinistro, avesse cominciato a bere ed assumere stupefacenti.
La fama l’aveva raggiunta con la fortunata serie “Friends” in cui recitava la parte di Chandler Bing; in questo impegno cinematografico contava su compagni di lavoro quali Jennifer Aniston, Lisa Kudrov, Courteney Cox, David Schwimmer, Matt Leblanc, con tutti i quali ha mantenuto, ricambiato, rapporti di profonda e sincera amicizia. Lui stesso aveva reso pubblica la sua dipendenza all’alcol – in una autobiografia dal titolo “Friends, amanti e la Cosa Terribile”, edita un anno prima della tragica fine – assicurando però che, mai, durante le riprese della popolare e molto seguita serie (andata avanti per ben dieci stagioni), era salito sul set ubriaco o comunque dopo aver bevuto. Insomma: rivendicava la propria correttezza sul lavoro e il rispetto dovuto ai colleghi ed allo staff di regia.
Un attore di successo, con una esistenza, però, costellata, impregnata di problemi. Molto seri. I film offrono un tipo di ottica, la realtà si rivela spesso molto più complessa, talora dolorosa e, talvolta, persino tragica. Le pareti della villa di Pacifico Palisades, la dimora di Perry, chissà quanti segreti nascondono. E non solo le visite della Sangha, viso d’angelo (occhi azzurri e ritocchi, sostiene il gossip, con il botulino per distendere la pelle del volto), ma anche cuore algido, crudo. Secondo le fonti giornalistiche quando la DEA (l’antidroga USA) ha fatto irruzione nella casa della sospettata ha trovato e sequestrato farmaci, stupefacenti, cocaina, Xanas e 80 fiale di metanfetamina.
La Sangha frequenta il bel mondo dorato (e spesso, purtroppo, marcio) di Hollywood: l’hanno fotografata ai “Golden Globe” e agli Oscar (dove si era presentata vestita da “geisha”). Felice e spensierata (almeno dalle immagini). Insomma l’inchiesta rischia di aprire un nuovo bubbone nella Los Angeles dei divi multimiliardari, alle prese – fuori dal set – con alcol e droga, vizi privati e pubbliche virtù, amore e morte. D’altronde fin dalla sua nascita Hollywood era stata definita una Babilonia. Scintillante di luci, ridondante di orpelli, gioiosa in superficie, ma, molto di frequente, falsa, crudele, peccaminosa. Metropoli non dell’essere, ma dell’apparire.
Elio Clero Bertoldi
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