PERUGIA – I franchisti si erano lanciati all’attacco, d’improvviso. Partiti dalla fortezza di Almudevar. Alle prime luci dell’alba – era la mattina del 28 agosto 1936 – gli italiani erano già stati circondati. L’altura dove la Brigata Ascaso si era accampata si trovava tra Huesca e, appunto, Almudevar. Lo stesso Mario Angeloni, comandante militare (commissario politico Carlo Rosselli) aveva battezzato quella cima, Monte Pelato. I compagni di lotta riferirono che in quelle cinque ore di furiosi combattimenti Angeloni correva da ogni parte del campo, indicando dove piazzare le mitragliatrici, dando ordini, portando una parola di incoraggiamento per ogni uomo. Nonostante gli suggerissero di stare riparato e di non muoversi sul terreno scoperto e battuto dalle artiglierie nemiche, lui continuava a spostarsi, impavido.
Ad un ennesimo invito a fermarsi rivoltogli da Umberto Calosi (testimonianza riferita da Vittor Ugo Bistoni nelle sue numerose e approfondite ricerche sul fatto) rispose: “Vado a prendere le bombe”. Un attimo dopo venne colpito. Fece in tempo a pronunciare la parola: “Addio”. E cadde giù rotolando in una scarpata. Venne soccorso e condotto in ospedale a Sarinena. Le sue condizioni apparvero subito disperate. Ma rimase lucido e volle informarsi come era andato lo scontro. Gli risposero che, grazie ai rinforzi inviati da Rosselli, i franchisti erano stati costretti a ritirarsi sino ad Almudevar. Ne fu contento. Lasciò messaggi privati da riportare all’amata moglie Giaele e spirò. Vennero organizzati funerali solenni a Barcellona e le sue spoglie furono portate anche nel tempio massonico della capitale della Catalogna. Sulla sua tomba furono incise le insegne della libera muratoria.
Repubblicano e massone Angeloni lo era stato fin da piccino. D’altronde massoni erano stati sia suo padre e pure suo zio Decio. Era cresciuto a pane e ideali mazziniani. Raccontano che fosse irrequieto e ribelle sin da ragazzo. In massoneria era stato allievo di Guglielmo Miliocchi. Vittor Ugo Bistoni precisò che i tre “novizi” di Miliocchi presentavano caratteristiche diverse, ma si integravano perfettamente tra di loro: Bruno Bellucci, la mente; Mariano Guardabassi, l’organizzatore; Mario Angeloni, l’operativo. E proprio per questo il giovane avvocato fu il primo, all’avvento del fascismo, a finire confinato ad Ustica con altri 47 antifascisti.
Mario era nato in Perugia il 15 settembre 1896. Sesto figlio dell’avvocato Publio, repubblicano mazziniano e massone, e di Elvira Cerboni. Il 24 maggio partì volontario per la Grande Guerra, dove si comportò da valoroso mietendo encomi e riconoscimenti: tenente di cavalleria ottenne la decorazione della medaglia d’argento e la nomina a tenente effettivo per meriti di guerra. Alla fine del conflitto si laureò in giurisprudenza e cominciò la professione nello studio del padre, in via Danzetta. Conobbe Giaele Franchini nel 1918 e la sposò nel 1921. Lei era figlia di un avvocato repubblicano, Enrico Franchini, ultimo sindaco di Cesena prima del “ventennio”. La coppia si stabilì a Perugia. Giaele seguì il marito al confino. Nel 1928, a seguito di una amnistia, i due si spostarono a Cesena. Sotto la sorveglianza stretta, asfissiante della polizia. Il regime, che lo aveva spedito al confino ad Ustica (con lui Giuseppe Romiti), lo trasferì, poi, all’Ucciardone di Palermo e successivamente nelle isole Pontine.
Liberato, rientrò a Cesena e lavorò, per qualche tempo, nello studio legale del suocero. Ma venuto a conoscenza che il prefetto aveva pronto un decreto per rispedirlo al confino, decise di fuggire dall’Italia. Nell’organizzazione della fuga fu aiutato da Gigino Battisti, figlio di Cesare, il martire irredentista. Giaele non poté seguirlo subito. Lo raggiunse qualche tempo più tardi a Parigi. Nella “ville lumière” si iscrisse alla loggia massonica “Italia nuova”, diretta da Antonio Coen e nell’aprile del 1933 assurse al grado di “maestro”. Quando il 17 luglio 1936 Franco si sollevò in armi contro la legittima repubblica, gli antifascisti italiani risposero con immediatezza, insieme ai volontari di 53 paesi. Carlo Rosselli e Mario Angeloni si spostarono a Barcellona, dove venne costituita la Colonna Italiana (il primo commissario politico, il secondo comandante militare, il loro compagno Camillo Berneri, rappresentante degli anarchici). A Parigi, intanto, si erano concentrati esuli come Palmiro Togliatti, Pietro Nenni, Randolfo Pacciardi, Giuseppe di Vittorio, Luigi Longo.
La stella di Angeloni – non ancora quarantenne – ormai si stava per spegnere. Eppure in quelle poche settimane, Angeloni, confermò la sua indole e restò saldo nei suoi ideali. E anche negli istanti prima della morte, accanto al pensiero per Giaele, compagna della sua vita, non ebbe altre preoccupazioni se non per la sorte della battaglia, per i suoi compagni di fede e di lotta, per la democrazia.
Mario Angeloni riposa nel cimitero di Saragozza, accanto ad altri caduti italiani. Mario era lo zio di Giuliano Vassalli, grande giureconsulto, la cui madre, Maria, sorella dell’eroe, aveva sposato Filippo Vassalli.
Elio Clero Bertoldi
Nella foto di copertina, Mario Angeloni durante la campagna di Spagna
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