Ci sono vicende di cui il nostro Paese deve vergognarsi e che è opportuno ricordare. Per non dimenticare, certo, ma soprattutto perché certe storie siano di insegnamento per tutti. Il nome di Mariasilvia Spolato probabilmente a molti non dice niente, eppure questa donna scomparsa due anni fa racchiude un esempio di civiltà che è bene far conoscere.
Mariasilvia era nata a Padova il 25 giugno del 1935 ed era una matematica: si era laureata col massimo dei voti. Insegnava a scuola, collaborava con l’Università e aveva pubblicato per Fabbri e Zanichelli diversi testi destinati agli studenti. Aveva però una colpa decisiva e imperdonabile per l’Italia ottusa, bigotta e falsamente perbenista di una cinquantina di anni fa: era omosessuale. L’attrazione verso persone dello stesso sesso era ben nota e accettata sin dall’antichità. Tanti personaggi famosi e potenti, nel corso dei secoli, avevano vissuto e professato anche pubblicamente la loro omosessualità: principi e re; letterati, scrittori e poeti; ministri e cardinali… Già, perché anche le più alte gerarchie ecclesiastiche ne erano coinvolte: si sapeva, ma non si poteva dire. Pena l’emarginazione, la discriminazione, la persecuzione.
Lei, invece, commise un altro gravissimo “reato” oltre quello di essere gay: si permise di dichiarare la sua condizione. In realtà, le cose andarono in maniera diversa. C’è una data, infatti, che fa da spartiacque nella vita di Mariasilvia Spolato: l’8 marzo 1972. Quel giorno molte donne (tra loro anche l’attrice americana Jane Fonda) scesero in piazza a Roma, a Campo de’ Fiori, luogo simbolo dell’Inquisizione dove fu bruciato sul rogo il filosofo Giordano Bruno accusato di eresia. In quella circostanza la professoressa Spolato sfilò infilata nel suo cartello-sandwich con la scritta “Liberazione omosessuale”: era la prima donna italiana a dichiararsi pubblicamente lesbica. Il settimanale “Panorama” pubblicò la foto mentre “indossava” quel cartello e in quel momento perse tutto: compagna, lavoro e rapporti con la famiglia. Fu immediatamente licenziata dalla scuola statale dove insegnava: l’aver collaborato con l’università e l’essere autrice di diversi manuali scolastici non furono sufficienti a impedire un licenziamento per “indegnità”. Insomme lei in quanto lesbica non era “degna” di insegnare… Inoltre fu ripudiata dalla sua famiglia e la lasciò pure la donna che amava e per cui aveva messo in gioco tutto.
Iniziò per Mariasilvia un lungo e complicatisssimo periodo. Inizialmente dormiva a casa di amici, poi i soldi finirono e praticamente visse da clochard in diverse città. “Mangiavo quel che trovavo per strada e dormivo nei vagoni ferroviari: mi conoscevano tutti, macchinisti e capitreno”, raccontò molti anni dopo vincendo la sua ritrosia a ripercorrere il passato. Intanto aveva fondato con Angelo Pezzana (storico esponente radicale) il Fuori (Fronte unitario omosessuale rivoluzionario italiano) e anche l’omonima rivista sulla quale si affontavano le tematiche legate appunto all’omosessualità e ai diritti negati ai gay. Nel suo vagabondare, però, non rinunciò mai ai libri e ai giornali: li raccoglieva dai cassonetti e se li portava appresso nei borsoni che costituivano il suo inseparabile bagaglio. Non si sa come arrivò a Bolzano e fu lì che a causa di una cancrena alla gamba fu ricoverata in ospedale dove finalmente accettò di essere seguita dai servizi sociali e successivamente di entrare nella casa di riposo Villa Armonia dove visse gli ultimi anni sua vita e dove morì il 31 ottobre del 2018. Aveva ritrovato la serenità e, dopo un iniziale periodo di ambientamento, si era integrata con gli altri ospiti mantenendo sempre la sua autonomia: usciva la mattina per andare in biblioteca e rientrava la sera. A Villa Armonia divenne anche l’animatrice del cineforum scegliendo i film da proiettare; riprese anche a fotografare, l’altra sua grande passione.
Fra qualche giorno si celebra la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Mariasilvia Spolato soleva sottolineare che nella sua vita era stata discriminata due volte: come donna e come omosessuale. C’è bisogno di aggiungere altro se non sottolineare la vergognosa ipocrisia di un’Italia chiusa e piccola, molto piccola?
Buona domenica.
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