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Tragedia di Marcinelle, una vergogna per l’Italia

di | 2021-08-06T18:55:13+02:00 8-8-2021 6:20|Personaggi, Sezione 5|1 Comment

ROMA – L’8 agosto di 65 anni fa un incendio divampato nella miniera belga di Marcinelle costò la vita a 262 minatori. Di questi 136 erano italiani, molti giovanissimi e andati a cercare fortuna in Belgio che, in scarsità di manodopera, aveva stipulato un accordo con l’Italia che avrebbe inviato 50mila lavoratori in cambio di carbone. Era il 1956 e il Bel Paese si organizzava per guarire le ferite della seconda guerra mondiale ma ancora stentava a ripartire per quello che sarebbe stato il boom economico. Gli italiani erano pieni di speranze e di sogni, parte dei quali si infransero dietro questo disastroso accordo con il paese straniero verso il quale si mosse un flusso migratorio pari a 40mila operai in giovane età.

Quando si commemora questo episodio dolorosissimo per il nostro Paese, ma specialmente per l’Abruzzo che pagò il prezzo più caro con ben 60 morti, si è portati a immaginare “solo” il disastro di quel momento, causato da un incidente dovuto alla disattenzione: un ascensore partito nel momento sbagliato ruppe i tubi dell’olio che, colando sui cavi elettrici, provocarono il terribile incendio sotterraneo. Dal fumo e dalle fiamme molti si salvarono a stento e altri ne rimasero vittime. Le cronache del tempo descrissero con dovizia di particolari quanto avvenne a Bois du Cazier nella miniera di carbone di Marcinelle (Charleroi), ma quello fu solo l’episodio finale di una disumana vicenda che durava già da dieci anni. Le fiamme di Marcinelle furono l’epilogo di un inferno iniziato il 23 giugno 1946 con il “Protocollo Italo-Belga” che richiese il sacrificio di tanti giovani per la rinascita del Paese ma in cambio non ottenne praticamente nessun vantaggio. Il carbone concordato, infatti, non arrivò mai e l’Italia dovette comprarlo da altri paesi stranieri.

Il pozzo di quella miniera era in funzione dal 1830 e le sue misure di sicurezza erano state sempre ridotte al minimo, come la manutenzione, ma prima di questo era il tipo di lavoro cui erano chiamati questi volontari ad essere discutibile, a prescindere. Spinti dalle più rosee prospettive i giovani uomini che partivano per diventare minatori venivano duramente selezionati lungo il percorso (a Milano, in Svizzera), prima di essere assunti. Il viaggio era duro e si svolgeva in condizioni disumane, quasi come fosse una deportazione verso i campi di concentramento nazisti ma moltissimi partirono lo stesso, sicuri che questo sarebbe servito a costruire un futuro per se stessi e per le loro famiglie. L’incubo iniziato già alla partenza diveniva ben chiaro una volta giunti a destinazione, quando la situazione confermava senza speranza le sensazioni negative dell’inizio di questa esperienza fallimentare sotto ogni punto di vista. Gli operai venivano sistemati in baracche che erano già state utilizzate per i prigionieri durante la guerra, senza servizi, in condizioni igieniche precarie, dove la vita aveva condizioni molto al di sotto dei livelli accettabili e la retribuzione per quel lavoro ingrato bastava a malapena a sfamarli.

La situazione di degrado e miseria in cui si ritrovarono i minatori a Marcinelle sembrava – e per molti fu – senza scampo né speranza sia sotto la luce del sole che in miniera, dove scendevano quando ancora non si era levato il sole ad una profondità di quasi un chilometro verso le viscere infuocate della terra. I loro racconti, documentati nella trasmissione “Altra Storia 2004: Marcinelle, la strage dei minatori”, confermano l’inferno vissuto in quei dieci anni precedenti alla strage. Solo Emile Zola aveva saputo raccontare prima, nel 1885, la vita in miniera. Lo aveva fatto nel suo romanzo “Germinale”, denunciando lo sfruttamento dei “fantasmi” – perché chi lavora in miniera non si vede – e i primi tentativi di questi di dare vita ad un sindacato che li difendesse. Chi vuole sapere cosa accadde a Marcinelle prima di quell’incendio fatale può trovarne tutti i particolari nelle pagine di quel magnifico romanzo, le cui pagine anche aperte a caso presentano immagini di una vita che non è abbastanza dignitosa per essere considerata tale e per questo non si può tollerare.

Tutto ciò che accadde a Marcinelle la mattina di quell’8 agosto alle 8,10, fu solo il perfezionamento di un’opera che solo il demonio avrebbe saputo costruire. Quotidianamente, prima che il sole si alzasse, i minatori si calavano nel cuore della terra, infilandosi in cunicoli strettissimi e bui dove erano costretti a picconare il carbone in ginocchio o curvi per diverse ore, privi di aria, a temperature altissime. Si sottoponevano a queste durissime condizioni di lavoro con la disperazione di chi cerca di strappare il pane alla miseria, consapevoli di poter cedere in ogni momento o, se sopravvissuti ai contratti capestro che li aveva inchiodati a quella schiavitù per ben cinque anni, di riportarne conseguenze fisiche per sempre. Così è stato per molti di loro.

Marcinelle non deve ricordare solo i morti di quell’incendio ma il sacrificio di tanti italiani, anche minorenni, mandati a morire o che hanno continuato a vivere con l’incubo di quegli anni e con malattie croniche in nome di un progetto concepito male. Non servì ad arricchire nessuno, infatti, ma solo a lasciare tante vedove inconsolabili e figli orfani la cui sopravvivenza ad una tragedia tanto grande è stata un atto eroico che non va dimenticato.

Gloria Zarletti

One Comment

  1. Tiziana 8 agosto 2021 at 14:02 - Reply

    Storie tristissime che fanno rabbia, come per le miniere di zolfo in Sicilia (vedi Rosso Malpelo) o quelle dei giorni nostri in Africa nelle miniere di litio per le batterie dei nostri telefonini.
    La storia NON insegna

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