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Così Lucia recuperava i corpi dei tedeschi

di | 2023-05-16T09:53:01+02:00 14-5-2023 5:05|Personaggi, Sezione 2|0 Commenti

SALERNO – La chiamarono Mamma Lucia e in Germania “Mutter der Toten” (madre dei morti). Lucia Pisapia Apicella era nata nel 1887, era la settima e ultima figlia di Maria Carmela Palumbo e Francesco, commerciante di legname. Due anni dopo la sua nascita, la madre morì e il padre si risposò con una sorella minore della moglie, da cui ebbe altri cinque figli. Lucia frequentò la scuola elementare fino alla terza classe. Già da ragazzina mostrò un grande amore per gli sventurati, andando a visitare e confortare gli ammalati all’ospedale del suo paese, disubbidendo ai familiari che temevano contraesse la tubercolosi (la penicillina ancora non c’era e la malattia era incurabile).

La sua disubbidienza le valse un soprannome eloquente: “la briganta”. Nel gennaio 1952 Lucia raccontò a Giuseppe Marotta, scrittore, sceneggiatore, paroliere napoletano (scrisse il libro “Le madri”): “Quando non ero in chiesa ero al telaio, per cinquanta metri di tela il mercante pagava cinque lire. Non ricordo, non mi spiego come mi affezionai all’ospedale, ci andai una volta e non ebbi più l’animo di staccarmene. Portavo biscotti e arance ai ricoverati, facevo iniezioni, assistevo gli agonizzanti; è brutto che il moribondo cerchi inutilmente una mano sopra le coperte, vi giuro; ma in famiglia ne ebbi di rimproveri, per questo”.

A 25 anni, nel 1912, sposò il commerciante di frutta Carlo Apicella da cui ebbe due figli: Vincenzo e Antonio. Carlo partecipò alla prima guerra mondiale, tornando a casa con gravi ferite. Passarono gli anni e un’altra guerra mondiale insanguinò l’Europa. Con lo sbarco degli alleati a Salerno l’8 settembre 1943 (Operazione Avalanche), la piccola città di Cava dei Tirreni fu teatro di guerra. Sui monti circostanti si succedettero violenti scontri tra le truppe alleate e quelle tedesche. Dopo durissimi scontri i tedeschi della divisione “Hermann Göring” dovettero indietreggiare, lasciando sul campo i caduti, mentre i vincitori inglesi e americani ebbero il tempo di raccogliere gran parte dei loro soldati morti.

Il 28 settembre del 1943, dopo che diversi cittadini cavesi, tra cui anche bambini, erano stati uccisi dalle bombe e dalle rappresaglie tedesche, Cava fu liberata. Dalla fine della guerra fino alla legge del 9 gennaio 1951 n. 204, nessuno in Italia si occupò dell’esumazione dei cadaveri dei soldati tedeschi rimasti sul terreno alla mercé delle ingiurie degli elementi naturali, animali e sciacallaggio degli uomini: centinaia di cadaveri giacevano insepolti ai lati delle strade e nei campi. Lucia Apicella rimase sconvolta dalla vista di alcuni ragazzi che giocavano a calcio con il cranio disseppellito di un soldato ed ebbe in sogno la visione in una radura di otto croci abbattute e otto soldati, che la imploravano di restituirli alle loro madri.

“Come una semplice mamma”, chiese al Comando alleato il permesso di “sistemare i cadaveri perduti”. Il Comando rispose che era competenza del sindaco di Cava. Lucia si rivolse al sindaco che, dopo aver a lungo tentato di dissuaderla, il 16 luglio 1946 le accordò il permesso e l’aiuto di due becchini. Da quel giorno Lucia, accompagnata anche da una parente, Carmela Pisapia Matonti, si recò in tutti i luoghi in cui fossero segnalati la presenza di cadaveri. Le ossa recuperate, ripulite dai brandelli di carne e lavate, furono sistemate in cassettine di zinco che Lucia commissionava a sue spese al fabbro del paese. Gli oggetti personali e i documenti che potevano favorire il riconoscimento del defunto venivano accuratamente catalogati e poi consegnati al Commissariato.

A chi le chiedeva perché si desse tanta pena per dei nemici, Lucia rispondeva in dialetto: “Sempre figli di mamma erano. E mente murevano accisi ’a mamma nun ’a manco tenevano avvicino”. I becchini si rifiutarono di seguire Lucia in un lavoro pericoloso, perché la zona era piena di bombe inesplose e i cadaveri avevano ancora nel cinturone le bombe a mano. Ma Lucia aveva fede e con le sue stesse mani grattava delicatamente la terra estraendone i reperti, tanto che si fece calare anche nei dirupi. “A San Nicola Varco – racconta in un’intervista – nella proprietà Amendola, fui avvertita da un presentimento. L’uomo che avevo con me era padre di cinque creature, lo allontanai con un pretesto. E frugai con le unghie piano piano, finché liberai dal terriccio due proiettili alti così, prima dei tre militari che cercavo”.

Per reperire il denaro necessario per quella che ormai era una missione, Lucia dette fondo alle scarse finanze familiari, tolse la lana dai materassi, orgoglio e dote delle donne meridionali (i poveri dormivano sui “sacconi” imbottiti di foglie secche di granturco), per filarla e venderla. I soldi erano necessari anche per indennizzare i contadini per il raccolto devastato dagli scavi nei loro campi. Le cassette funerarie erano conservate nella chiesetta di Santa Maria della Pietà detta di San Giacomo, dove Lucia passava molto tempo a pregare e a piangere per quei poveri giovani così atrocemente e immaturamente defunti. Quando finalmente le autorità tedesche incominciarono a rimpatriare i loro caduti in Italia, in Germania si conobbe l’opera di Lucia e qualche mamma le scrisse per pregarla di ritrovare i resti dei loro figli: “Chella povera mamma, Carolina, ca po’ cunusciette a Germania, a casa soia, me screvette e me mannaie a pianta del posto addò era saputo ca ce stava sepolto Joseph, ’u figlio. U truvai e comme nun ’u truvaie!”.

Alla fine delle operazioni di recupero mamma Lucia aveva ritrovato circa settecento corpi. A metà settembre 1951 viene invitata in Germania per il conferimento della Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Federale Tedesca, fu ricevuta con grande calore e acclamata come “Mama Luzia” e “Mutter der Toten”. In quell’occasione si recò a casa di Adam e Karolina Wagner genitori del caporale Joseph per restituire loro l’anello, il portasigarette e l’orologio del figlio caduto in battaglia a 22 anni. Partecipare al dolore di quei genitori fu per Lucia “l’esperienza più angosciante”.

Nel 1959 ebbe l’onorificenza della Commenda al Merito della Repubblica e fu proclamata cittadina onoraria di Salerno. Gli ultimi decenni della sua lunghissima vita Mamma Lucia li trascorse prendendosi cura della chiesetta di S. Giacomo e pregando per quei poveri giovani morti che diceva di avere adottato come figli: tedeschi, americani, polacchi, marocchini… Ebbe riconoscimenti da Papa Pio XII e dal presidente Giovanni Gronchi, nel 1959. Morì nel 1982.

Francesca Sammarco

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