PERUGIA – Ammazzate perché vanno in giro, a passeggio, a scuola, al lavoro, senza il velo. Una, piccola schiavitù, all’apparenza, ma che ne nasconde una più grande e pericolosa: una valutazione negativa del genere femminile, oltre che una negazione, un rifiuto della libertà individuale, una oppressione. Mahsa, curda, aveva 22 anni; Hadis, iraniana, era più giovane di un anno. Probabilmente le due neppure si conoscevano, non si erano mai viste e vivevano in località lontane. Ma lottavano per un identico diritto. Per gli stessi ideali. Per la libertà, in una parola. Entrambe hanno incontrato lo stesso terribile destino: sono state uccise da fanatici integralisti. Forse più realisti del re, più fondamentalisti, più dogmatici delle stesse guide spirituali. Forse.
Tutte e due, Mahsa e Hadis, si sono viste stroncare la vita, ancora così acerba, dai guardiani della rivoluzione (si fanno chiamare “polizia morale”, mentre neppure sanno lontanamente cosa sia l’etica visto che si comportano senza pietà e da sanguinari). Una è spirata in prigione, a Saqqez, in Kurdistan, per le violenze subite, un pestaggio della polizia (è in corso una inchiesta per appurare come sia potuta succedere una cosa del genere); l’altra in maniera brutale e plateale: sei colpi di pistola al viso, al collo, al petto a Kairj a poca distanza da Teheran. Come se lo sparatore, avesse voluto cancellare l’identità – incredibile “damnatio memoriae” – di quella inerme ragazza, che si era colorata i capelli di biondo e che si era infilata un laccio per sorreggere la propria coda di cavallo, liberandosi dello “hijab”. Gesti semplici, naturali, che ogni donna compie in tutto il mondo, ma che in Iran il genere femminile non può permettersi.
Il velo (ne circolano di vari tipi: hijab, chador, niqab, khimar o addirittura il burka integrale, che nasconde tutto il corpo) che copre la chioma viene considerato dai fedeli dell’Islam un precetto. Di più: un pilastro della religione islamica. Dunque gli ayatollah ed i loro seguaci, tengono più alla forma, che non alla sostanza del loro credo. Puniscono chi non gradisce il chador, come aveva fatto Mahsa, alla stessa stregua di una blasfemia e l’uscire in pubblico con la coda di cavallo lo ritengono uno schiaffo agli insegnamenti del profeta. Ma si può sopprimere, togliere la vita ad un essere umano per una questione di pura forma? In certi paesi ancora fustigano a morte o lapidano le adultere e, in Occidente, vengono i brividi soltanto a pensarci. Noi le riteniamo condotte retrograde, incomprensibili, che risalgono all’indietro nella notte dei tempi… E che cozzano con le sensibilità di ciascuno che abbia un minimo di sentore etico.
Nel paese della rivoluzione khomeinista, entusiasta per aver rovesciato e cacciato il regime definito “corrotto, violento, antipopolare” dello Scià, si uccide una ragazza perché un ciuffo di capelli fuoriesce dal velo o perché un’altra giovane mostra i capelli sciolti o raccolti sulla nuca. Non è possibile non sentirsi a fianco di chi combatte per la libertà di movimento, di parola, di pensiero senza commettere violenze. Anzi: tanto di cappello a chi si batte, con sprezzo del pericolo, per questi diritti elementari, basilari. La metà della popolazione iraniana è costituita da donne, giovani e meno giovani. E dalle immagini che arrivano in Occidente la rivolta, spontanea e coraggiosa (che ha provocato già decine di morti e centinaia e centinaia di arresti: il regime reagisce col pugno duro, spietato), sta attraversando, interessando, coinvolgendo l’intero paese – culla di una antica civiltà (elamiti, persiani, medi), che Hegel riconosceva come “il primo popolo storico” – in fiamme.
Da nord a sud, da est ad ovest. Dalle metropoli ai piccoli villaggi di allevatori e contadini. Ed accanto alle donne (figlie, sorelle, madri, nonne) si affiancano, con altrettanta audacia, con eguale “fegato” – tutti scendono disarmati sulle piazze per protestare e reclamare i propri diritti contro l’oppressione – i padri, i fratelli, gli zii, i nonni. Non perché abbiano abiurato la loro religione, ma semplicemente perché si rendono conto che un precetto, vecchio di secoli, non riveste più alcun senso nella realtà di oggi. Che negare alle donne di abbigliarsi come credono ed impedire loro di studiare e fornire il proprio contributo intellettuale ed umano alla società, non solamente è, e suona, ingiusto, ma significa, altresì, frenare la stessa crescita della nazione e persino della religiosità, che i dogmatici e gli integralisti tanto ferocemente e crudelmente pensano di difendere usando le armi e sparando sui manifestanti ad altezza d’uomo. Follia pura.
Elio Clero Bertoldi
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