PALERMO – Egregio maestro, considerata la sua bella età, purtroppo la sua dipartita era da mettere in conto ne “Il corso delle cose”, volendo parafrasare il titolo del suo primo romanzo. Ma avrei ardentemente voluto che il giorno del suo definitivo commiato fosse ancora lontano. Innanzitutto perché lei potesse continuare a godere dell’affetto dei suoi cari, di sua moglie Rosetta, delle sue figlie, di nipoti ed amici; e bearsi dell’odore del mare, del garrire delle rondini, del sapore delle triglie fresche, del profumo della zagara. Privo da qualche anno della vista, come aveva confidato lei stesso in un’intervista, gli altri sensi le si erano come risvegliati e supplivano gagliardamente al senso mancante, inebriandolo di percezioni tattili, profumi e sapori … E poi avrei voluto beneficiare il più possibile della sua presenza intelligente, del suo discorrere lucido e acuto e della sua magnifica scrittura. Della quale mi ero pazzamente innamorata solo da qualche anno.
Ma io scrivo accussì macari da quarant’anni, tu ti nnandrunasti ora? – sicuramente lei mi chiederà da lassù, sorridendo in modo sornione.
Veramenti na quinnicina d’anni narrè, ho letto qualche suo romanzo: come “La mossa del cavallo” e “La concessione del telefono”. Ma poi lassai perdiri … Voli sapiri picchì? Mi pareva chi lei esagerasse tanticchiedda con la crudizza di li so discrizioni e con i vizi di l’omini. Nun ci la facia a stari appressu alla potenza amara di li so pinseri … Picchì prima ero una fimmina piccilidda, troppo dilicata e nanticchia ingenua. E la sua mi pareva una visione del mondo troppo da masculu, sanguigna, nuda e cruda.
Ora capisciu ca lei scriviva li cosi comu stannu: gran parti di li pirsoni erano e sono come li descrive lei. E unnè curpa sua si la gente è accussì. Ora leggo con immenso piacere i suoi libri. E mi affezionai macari al commissario Montalbano.
E la voglio ringraziari pi du motivi pricisi: in primisi perché mi ha fatto rammentare di quannu ero piccilidda e parlavo in dialetto, picchi nascivu in un paiseddu spirdutu non lontano da Fiacca e Montelusa. E nta stu paisi io discurria con mio nonno Turiddu sulu in sicialianu strittu. E mia madre, buonanima, mi cantava: “La Madunnuzza in cammara sidiva, li roba a san Giuseppe arripizzava …” Con li so romanzi e la sua scrittura, lei ha risuscitato la mia anima bambina.
E poi, caro Camilleri, lei ha la capacità di cogliere appieno l’anima della nostra Sicilia, nel battito eterno del tempo e negli orizzonti, ora luminosi ora cupi, dello spazio. Mette il dito nelle piaghe, nei vizi e nelle virtù della storia siciliana, dal Regno delle due Sicilie a oggi, senza sconti a nessuno. E noi lettori respiriamo a pieni polmoni l’aria della Sicilia, così bella, ma così travagliata e complessa.
Ora non mi resta che immaginarla in quella bolla di eternità della quale – quando ha impersonato Tiresia al teatro greco di Siracusa nel giugno 2018 – lei diceva di aver avuto forse un’intuizione. Qui, sulla terra, mi sento più sola senza la forza delle sue riflessioni e la magia dei suoi racconti.
Confesso infine che nutrivo un desiderio impossibile: quello di conoscerla “di persona personalmente” e di scambiare due chiacchiere con lei …
Mi consolo del sogno irrealizzato leggendo e rileggendo i suoi scritti, dalle prime opere che sono già capolavori – “Un filo di fumo”, splendido romanzo che racchiude il pathos e il vivo pulsare della Sicilia di fine Ottocento; “La strage dimenticata”, ricostruzione dell’eccidio, nella prigione di Porto Empedocle, di 114 ergastolani, i cui nomi sono da lei restituiti alla Storia e alla memoria umana – mentre aspetto l’ultimo Montalbano, che sarà il suo regalo postumo.
So che potrò sempre misteriosamente incontrarla nelle sue opere. Come Luigi Pirandello, come Leonardo Sciascia, lei siede in eterno nell’Olimpo degli scrittori, dove la fiamma del pensiero e della parola è sempre viva e accesa. Grazie.
Maria D’Asaro
Nell’immagine di copertina, il Maestro Andrea Camilleri
Lascia un commento