PALERMO – Si è conclusa con una dichiarazione di illegittimità della sanzione di sospensione che le era stata comminata, la vicenda della professoressa Rosa Maria Dell’Aria, docente di Lettere nella classe II E dell’Istituto Tecnico Industriale “Vittorio Emanuele III” di Palermo. La docente era stata sospesa per 15 giorni con l’accusa di non avere vigilato sul lavoro dei suoi alunni che, in una ricerca, avevano paragonato il decreto sicurezza varato dal governo in carica alle leggi razziali emanate nel 1938 dal regime fascista.
L’episodio, che ha avuto una vasta risonanza ed è stato variamente commentato nei social, ha posto innanzitutto una questione di merito e una di metodo. Ecco a tal proposito cosa ha scritto il filosofo palermitano Augusto Cavadi: “Dal punto di vista del merito, si potrebbe disquisire a lungo se le politiche attuali di questo governo siano razziste o meno. Ma, proprio perché se ne potrebbe discutere a lungo, significa che l’opinione affermativa non è manifestamente infondata. Dunque un burocrate non è qualificato, in quanto tale, a dirimere la questione. Ma, ammesso che la tesi dei ragazzi fosse comunque infondata, si aprirebbe una questione formale di metodo: a scuola le opinioni vanno censurate in nome dell’autorità o discusse (ed eventualmente confutate) in nome della cultura?”.
La vicenda ha riacceso inoltre il dibattito su una questione cruciale: si fa politica a scuola? Ci sono stati molti commenti di segno negativo, sintetizzati nelle affermazioni: “Fuori la politica dalla scuola”, “I professori devono insegnare e basta”, “La scuola non deve essere di parte”, “La scuola deve fare la scuola e la politica deve essere fatta nelle sedi giuste”.
Ma cosa significa realmente fare politica a scuola? Su tale interrogativo, queste le riflessioni della professoressa Rossana Rolando: “Se politica vuol dire indottrinare, orientare in senso partitico, manipolare le menti, come è accaduto storicamente nei regimi novecenteschi (dal fascismo al nazismo allo stalinismo), allora è bene che la politica rimanga fuori dalle aule scolastiche e dagli altri ambiti educativi”. “Ma se la politica – aggiunge – è lo spazio in cui si organizza la possibilità della convivenza tra le diversità, se è amore per la comunità umana e per il suo destino sulla terra, se è esercizio della parola come mezzo per risolvere i conflitti e come strumento di comunicazione, se è luogo di condivisione della memoria, se è palestra in cui esercitare i valori della Costituzione… allora la scuola è momento politico per eccellenza. Insegnare è preparare le giovani menti ad essere protagoniste consapevoli dei processi democratici, in modo tale da poter assumere in futuro la propria fetta di responsabilità nei confronti di se stessi e degli altri”.
E la docente conclude così le sue riflessioni: “Questo senso altamente politico (e non partitico) non è disgiungibile in nessun modo dalla scuola, nella sua natura di scuola educante, non semplicemente quando si occupa di temi storico-politici, ma sempre. Per questo la cultura può incutere paura al potere costituito e può entrare in conflitto con esso, come è accaduto nel corso dei secoli a quegli intellettuali che hanno promosso il pensiero autonomo”.
Altrettante chiare, infine le parole del filosofo Francesco Dipalo: “Un bravo professore fa politica? Se per fare politica s’intende la becera partigianeria, gli sproloqui televisivi, la stupidità di taluni comizi di piazza, gli slogan urlati o il gossip da fake news, no, per carità! Se per ‘fare politica’ si intende fornire agli studenti l’abc concettuale e storico per intendere i termini del dibattito politico attuale, nonché gli strumenti critici per decifrare il presente (alla luce del passato) e illustrare i valori fondamentali della nostra carta costituzionale democratica, ebbene sì, non solo ha la possibilità, ma ha l’esplicito dovere di ‘fare politica'”.
Maria D’Asaro
Nella foto di copertina, la professoressa Rosa Maria Dell’Aria
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