MILANO – Quelle immagini di valigie, un trolley con la ruota rotta, zaini pesanti. Le immagini di chi fuggiva, correva, scappava. Di chi lasciava casa. Ricordi. Un paese. Gli affetti più intimi. E’ vivido lo scenario di quell’esodo, quella diaspora di donne e bambini che catturavano sguardo e sentimento dell’Europa a partire dagli ultimi rintocchi di febbraio. Quel quadro di sfumature di dolore è ancora impresso, ma i colori sono un po’ più sbiaditi. La nuance che però non si è attenuata è quella grigia della guerra. Perché in Ucraina si muore e si sopravvive ancora.
E le ultime notizie fra annessioni, minacce, arruolamenti di massa, “suicidi” e stragi di innocenti riaccendono luci che molti credevano spente. E mentre i confini sembrano ondeggiare tra Oriente e Occidente, il mondo vive con preoccupazione le minacce di un conflitto nucleare. E se la prima emergenza vedeva protagonisti chi dalla guerra si allontanava, adesso la corsa, nonostante gli inasprimenti degli attacchi, si è invertita, come chi ripercorre controcorrente il fiume: donne e bambini tornano a casa. Nonostante il pericolo, tornano.
Distrutta, pericolosa o pericolante, casa è ovunque ci sia chi ami. Sembra una frase fatta, ma non lo è. Ecco perché pur rischiando, pur con la paura che fa tremare le membra, c’è chi in quel Paese torna, per ricominciare a vivere gli affetti. Un controesodo per ricominciare laddove avevano interrotto la loro vita. Lyuba ha lasciato a marzo Zaporizhia, la città nota alle cronache per la centrale nucleare e per i bombardamenti e adesso anche per la “coatta” annessione alla Russia, con un referendum che di volontà popolare ha poco. Ha lasciato il marito Cola portando con sé infagottato in una tutina blu un bimbo di appena 3 mesi, Macksim.
E’ una storia semplice e intensa. Dopo gli attacchi dei primi giorni, in particolare a Mariupol e a Kherson, con la minaccia che avanzava nel sud-est del Paese, questa famiglia si è trovata da subito davanti a un bivio, davanti a una scelta quasi forzata. Macksim era appena nato e scappare sembrava l’unica alternativa. Fuggire con la speranza che il conflitto fosse breve. Ma nonostante il dolore di lasciare il proprio Paese, casa e affetti, per Lyuba in realtà la scelta è stata meno difficile, perché una casa lei in Italia ce l’aveva già. Perché quando Lyuba era ragazzina aveva vissuto nel nostro Paese, in una famiglia da cui era stata accolta per alcuni anni.
Proprio in Italia aveva studiato, aveva trovato affetto e calore, prima di rientrare in Ucraina. Per Lyuba quindi c’era un posto, non solo sicuro, ma in cui c’era un legame molto forte. Per Lyuba è stato più un ritorno che un salto nel buio. Eppure il richiamo della sua terra natia è rimasto immutato ed è per questo che tra pochi giorni, pur con tutti i rischi del caso, in una terra che qualcuno chiama già russa, tornerà. Ed è proprio la famiglia italiana Pierobon che l’aveva abbracciata da piccola, che all’indomani dell’invasione, quando le prime immagini tenevano tutti incollati davanti a un’atrocità amara, tra maratone e corse di solidarietà, ha preso contatto con Daniele e Stefano per il recupero al confine polacco di Lyuba e Macksim.
E i due, volontari solitari, detti i “fantasmi” non si sono tirati indietro. E’ stato il loro primo recupero e per certi versi forse il più intenso, anche se non in quel momento più rischioso. “Avevano fatto 28 ore di viaggio in treno per arrivare oltre confine quando li abbiamo incontrati – racconta Daniele Bellofiore, volontario impegnato dal 6 marzo nel recupero di persone e distribuzione di aiuti ai civili e militari ucraini –. La Polonia era in quel momento la zona più semplice da raggiungere, per la precisione si trovavano a Lodz. Quando li abbiamo trovati erano stati sistemati in un centro di accoglienza molto spartano. Per la precisione si trovavano in una stanza con un materasso per terra, Macksim dormiva nel suo ovetto, avevano pochi bagagli sparsi sul pavimento. Quella scena ci ha colpito soprattutto per la tenera età del piccolo. Macksim avvolto in quell’ovetto sembrava così puro e indifeso, così innocente e incosciente di ciò che stava succedendo intorno. Cosa c’entrava lui con tanto orrore? E abbiamo da subito cercato di instaurare un rapporto diverso, umano, perché in quella situazione di umano c’era ben poco”.
Quell’attaccamento verso Macksim è diventato un legame, al punto che, nonostante chiare perplessità legate all’inasprimento del conflitto nella zona, Daniele ha accettato, non senza dolore, di riportare mamma e figlio in quella terra, rischiando più del solito in prima persona. “Lyuba aveva un’espressione provata e stanca quel giorno – prosegue – abbiamo cercato di darle quel comfort che meritava, soprattutto cercavamo di fare attenzione con un bimbo tanto piccolo. Li abbiamo messi a loro agio il più possibile, garantendo soprattutto delle soste, riposando a Vienna, per farli rifocillare e farli tornare a respirare”.
Daniele si ferma e poi continua commosso: “Con Macksim si è instaurato da subito un rapporto speciale, era così piccolo che ho provato una tenerezza enorme, mi ci sono affezionato. Per me è qualcosa di più, è un nipotino, è una motivazione”. Il legame che si è creato è stato talmente forte che quest’estate la famiglia che ospita Lyuba e Macksim ha deciso di fare visita a Daniele, con una sorpresa inaspettata. In Italia, vivono nella zona del padovano, Lyuba ha rimparato l’italiano, il piccolo Macksim è molto amato e seguito, hanno trovato una delle migliori sistemazioni. E’ proprio una vera famiglia.
Eppure, nonostante tutto, Lyuba vuole ricongiungersi con il marito, vuole tornare, vuole che il figlio abbia un padre e che il padre lo veda crescere. Lyuba vuole tornare dall’uomo che l’aspetta, nonostante i rischi. “Poco più di un mese fa – prosegue Daniele – mi hanno chiesto di riaccompagnarli. E nonostante la mia perplessità, la mia preoccupazione sia per il viaggio che per il pensiero costante a ciò che potrebbe succedere dopo, alla fine ho accettato. Una decisione sofferta, più sofferta delle altre, un dissidio interiore”.
Daniele, Lyuba e il piccolo Macksim che adesso ha 9 mesi, sono partiti proprio qualche giorno fa. Forse il viaggio più complesso, perché le notizie che arrivano dalle zone sud orientali, le minacce costanti, lo rendono ogni giorno più a rischio; tutt’altro che secondaria è la consapevolezza di avere un bambino tanto piccolo da riportare in un territorio quasi “apolide”, dopo che lo si è salvato. E se da una parte in tanti sostengono e condividono la scelta di Lyuba, non sono mancate le critiche e la disapprovazione.
Perché riportarli indietro? “E’ stata una scelta molto sofferta – spiega Daniele – ma Lyuba vuole tornare. Quello che emerge sempre è che gli ucraini hanno davvero un legame viscerale con la propria terra e la propria famiglia. E nonostante le varie complesse vicende storiche spesso li abbiano messi a dura prova, non accettano di rinunciare alla propria nazionalità. E’ vero che in un primo momento, la scelta di andarsene era la più ovvia, ma è anche vero che sembrava dover essere un conflitto breve. Invece si sta protraendo e non si sa ancora per quanto andrà avanti”.
“Quando mi hanno detto di volere tornare – continua – e hanno chiesto a me di riaccompagnarli, ho provato sentimenti forti e contrastanti. Perché rispetto ad altre zone che tutto sommato possono essere considerate oggi meno pericolose, Zaporizhia purtroppo è ogni giorno più calda e complessa. Ma non potevo dire di no. Non potevo pensare che soprattutto il piccolo Macksim avrebbe viaggiato in condizioni a rischio perché io farò di tutto per tenerlo al sicuro, prenderò tutte le precauzioni del caso. Sto facendo quello che è giusto fare, io sto rispettando la volontà di una famiglia. Non ci dormo e non ci dormirò – insiste – perché so che non li sto portando al sicuro, ma li sto riportando in mezzo alle bombe, i russi sono ovunque, senza tenere conto del pericolo della centrale. Ma rispettare le scelte è la scelta che reputo più corretta”.
L’undicesima missione, come le altre, sarà come sempre documentata da foto e video ed è in corso una raccolta fondi per coprire sia le spese del viaggio che del mezzo che costerà più del solito, perché per entrare in Ucraina serve il libretto originale. La raccolta è ancora in atto e si può aderire attraverso https://gofund.me/c8a56254 o contattando Daniele direttamente sulla sua paginaFacebook dove ci sono gli altri riferimenti: Daniele unpostonelmondo.
Questa volta Daniele partirà senza Stefano, anche se quest’ultimo è stato come sempre fondamentale per la pianificazione e lo seguirà passo dopo passo dall’Italia. “Questa volta – conclude con gli occhi lucidi – partirò senza Stefano: troppo rischioso. Non me la sono sentita di portare nessun altro con me. Ma credo sia giusto riportare Lyuba nel suo mondo e dalla persona che ama. Li riporterò a casa e poi tornerò nella mia. Porterò anche degli aiuti, ma la missione sarà più breve e mirata al ricongiungimento della famiglia”.
Il mondo social che da mesi sostiene, prega, osanna e a volte critica Daniele Bellofiore, per i suoi viaggi fatti in modo volontario senza nessun supporto di casacca di grande organizzazione umanitaria, con il solo sostegno di privati che attraverso raccolte di fondi e di aiuti materiali lo accompagnano, adesso aspetta incollato allo schermo di avere notizie e aggiornamenti sull’andamento. In tanti pregano. Piovono commenti commossi. Tra tutti uno, perché le numerose persone salvate da Daniele sono vite riconoscenti, perché in mezzo all’orrore della guerra, c’è chi dà un contributo disinteressato solo per amore verso il prossimo.
Come scrive Oksana sulla pagina facebook di “Daniele unpostonelmondo”: “C’è un ragazzo italiano che veramente meriterebbe le riconoscenze da parte del governo ucraino. Negli suoi viaggi ha salvato ed aiutato tantissime persone. Vorrei che tutti lo conoscono e lo sanno di lui perché è una persona meravigliosa. Grazie da parte di tutti ucraini, Daniele Unpostonelmondo. Sento la gratitudine immensa da parte di tutti noi per la tua opera, grande Daniele. Siamo scambiati di qualche messaggio solo al inizio di guerra. Qualche dritta, qualche info, qualche richiesta di aiuto, come nel caso di bambina persa dal pulmino in Slovenia (se non erro) con rifugiati di guerra dal Ucraina. Dopo sono passata alle traduzioni per i rifugiati con altro gruppo di amici. Ma ricorderò sempre la tua gentilezza e attenzione per ogni richiesta. Anche dopo lungo viaggio stancante avevi sempre risposto. Pronto a collaborare per ogni vita salvata. Seguo e seguirò sempre i tuoi racconti e pensieri che pubblichi su fb. Sapere che ci sono le persone come te fa diventare migliori. Hai tutta la mia stima, rispetto e ammirazione. La mia e di tantissime persone che ti seguono. Un posto nel mondo è il tuo immenso cuore”.
Alessia Orlando
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