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Luciana e Domenico, storia di due tragedie

di | 2024-06-28T18:47:21+02:00 30-6-2024 5:05|Cultura, Sezione 2|0 Commenti

ROMA – C’è una domanda che verrebbe la voglia di porre a Maria Grazia Calandrone, una volta letto il suo ultimo libro, “Magnifico e tremendo stava l’amore” (Einaudi, 2024). Verrebbe da chiederle, al termine di questa lettura magnifica e tremenda come il titolo, collocato tra romanticismo e cruda realtà, se dopo essersi scartabellata i fascicoli del caso “Cristallo” e averlo osservato con la lente d’ingrandimento, lei stessa ci creda ancora che l’amore esiste. O se invece, come sembra dalla posizione da lei assunta come narratrice, esso non sia il più delle volte una proiezione, il bisogno di colmare un vuoto, la voglia di riscatto, il tentativo di trovare quella famosa metà che ci illudiamo possa completarci. Perché in questa brutta storia di violenza familiare – avvenuta realmente tra gli anni ‘80 e i 2000 – non c’è solo una donna vittima di violenza come siamo abituati a vedere in situazioni analoghe. C’è anche il suo aguzzino, vittima a sua volta di se stesso, delle proprie frustrazioni infantili, di una mancanza di autostima figlia di una società tutta tesa al successo e pronta a schiacciare chi, poi, non lo consegue.

Maria Grazia Calandrone

L’autrice racconta, descrive, osserva, interpreta, fa parlare i personaggi, tutto documenti alla mano che sono frutto di una indagine negli archivi del carcere di Rebibbia. Calandrone indaga con scrupolo investigativo ma anche antropologico, sociale, politico, la vicenda nota alle cronache come il caso “Cristallo”, dal cognome di Luciana, protagonista femminile e volto noto negli anni a ridosso del processo. Negli anni ‘80 lei, giovanissima e bellissima ragazza romana in vacanza in Calabria, si incapriccia di Domenico Bruno, un aitante e promettente ragazzo, la cui condizione di figlio illegittimo di un notabile locale sarà la dannazione della sua vita e poi la sua condanna a morte. I due giovani si sposano presto, lei non è ancora maggiorenne. Sembra un idillio, lo sembra come succede il più delle volte. Sembra, dunque, un idillio ma non lo è perché lui, mentre tiene la moglie a casa a fare figli, comincia ad avere comportamenti violenti, la maltratta e la picchia in accessi d’ira improvvisi e sempre più frequenti.

Quello che avverrà dopo è una delle tante storie familiari di botte, lividi, ferite che si rinnovano ogni volta che marito e moglie si riavvicinano. Il copione è il solito: lei lo lascia e poi lo perdona convinta che lui si possa trasformare nel principe azzurro che vi aveva intravisto. Ma lui non cambia, anzi, peggiora mentre i successi di Luciana nel lavoro e i propri fallimenti professionali gli rimandano un’immagine di se stesso sempre meno gratificante. La frustrazione sfoga nella rabbia contro la moglie ed è sempre più subdola, insinuante, devastante, violenta. Lo è per lei e per i loro figli ma anche per se stesso, incapace di gestire i propri sentimenti e soprattutto i propri ri-sentimenti di figlio non visto, non considerato, contro la vita. Sullo sfondo, mentre la storia si dipana verso il tragico epilogo, la Calandrone ricostruisce il ventennio dagli anni ‘80 al nuovo millennio raccontando il crollo del muro di Berlino, le stragi di Falcone e Borsellino, la strategia degli inganni che a inizio anni ‘90 avrebbe traghettato l’Italia verso il Berlusconismo imponendo il modello di imprenditore di successo, giusto quello che Domenico non riusciva a essere.

Luciana Cristallo

L’autrice cita canzoni, fatti di costume, mode che cambiano. E parla anche di quel delitto d’onore abolito nel 1981 ma che ha lasciato strascichi lunghi, e della legge contro lo stalking (proprio la persecuzione attuata nel tempo da Domenico su sua moglie), arrivata troppo tardi per poter evitare che questa vicenda tracimasse nel dramma. La storia di Luciana Cristallo, dall’epilogo inaspettato, è la storia di molti amori che di amore hanno la parvenza essendo solo la proiezione dei nostri traumi irrisolti i quali, purtroppo, si rivelano proprio nel rapporto di coppia. Il suo perdono reiterato ai maltrattamenti del marito sono la conferma dell’incapacità, in certe situazioni, di accettare una verità: che la violenza non è una forma di amore ma, casomai, il suo contrario. Calandrone si sofferma molto ad analizzare anche la psicologia di lui e lo fa senza giudizio né giustificazione. Usa le parole precise, come fa di consueto, con un realismo che quando l’emozione è troppo forte sconfina nella poesia, suo rifugio prediletto, e si sublima.

Luciana e Domenico Bruno

L’uomo violento che siamo soliti considerare sbrigativamente “mostro” è da lei visto come il figlio dei suoi tempi, di una società che già iniziava ad essere schiava di quel consumismo che fa credere di poter comprare tutto. L’amore peró no. E così anche Domenico, la bestia che più volte ha massacrato di botte la moglie arrivando a distruggere la casa e permettendo che i figli si frapponessero tra i due corpi dei genitori per fermare la furia, è oggetto della sua compassione che non è la pietà cristiana ma l’empatia che si può provare per chi non ha scampo. Luciana e Domenico, nella visione dell’autrice, sono entrambi vittime di una convinzione sbagliata: lei crede che amare significhi salvare l’altro e lui pretende che chi si ama sia tenuto a completarci e darci una identità.

Con questo libro Maria Grazia Calandrone ha colto l’errore dei nostri tempi o forse il più antico di sempre: che l’amore possa risolvere tutto quando invece solo chi è risolto può trovare l’amore. La sua è una lettura coraggiosa del problema, che rischierebbe anche di essere impopolare se la sua penna non fosse così abituata a mantenersi in equilibri straordinari.

Gloria Zarletti

Nell’immagine di copertina, Maria Grazia Calandrone, autrice del romanzo “Magnifico e tremendo stava l’amore” 

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