PALERMO – Ingrediente ricercato per dolci e gelati, ottimo condimento per primi piatti, frutta secca da sgranocchiare, squisito per insaporire salumi e formaggi: il pistacchio, in tutti i suoi utilizzi, è un prodotto assai richiesto in cucina, da pasticcerie e aziende alimentari.
Coltivato già in età preistorica e originario dall’Asia, soprattutto dal Medio Oriente – ancora oggi l’Iran ne è il primo produttore mondiale – l’albero del pistacchio è resistente alla siccità e raggiunge anche gli 11-12 metri, anche se di solito si ferma a circa 5-6 metri. Cresce anche in terreni rocciosi e calcarei, ma predilige le terre vulcaniche; abbastanza longevo, raggiunge spesso i 300 anni di età. L’albero ha fiori unisessuali: ci sono alberi dai fiori maschili, altri dai fiori femminili, che producono i frutti. Un albero maschile produce abbastanza polline per fecondare circa dieci piante femminili.
Il pistacchio italiano più pregiato si coltiva in Sicilia, ai piedi dell’Etna, tra i 400 e i 900 metri di altitudine, nei terreni dei comuni di Bronte, Adrano e Biancavilla. In queste terre – circa 4000 gli ettari dedicati a tale coltura – si produce il 90% della produzione siciliana, che rappresenta lo 0,25 % della quantità prodotta nel mondo.
Il pistacchio prodotto ai piedi dell’Etna si caratterizza per l’involucro dalla forma piuttosto affusolata, che contiene il frutto di colore verde smeraldo, ricoperto da una pellicina viola intenso. Colori così accesi si trovano solo nelle piante di questo territorio, e sono dovuti al nutrimento ottimale ricevuto dal terreno ricco di lava dell’Etna. Le particolari qualità del pistacchio catanese lo hanno reso rinomato in tutto il mondo e gli hanno fatto ottenere la prestigiosa acquisizione DOP (Denominazione di Origine Protetta), conferita il 9 giugno 2009 dall’Unione Europea. La coltivazione di pistacchio rappresenta per Bronte e i paesi vicini un’importante fonte di reddito: perciò la pianta si è guadagnata la denominazione di “oro verde”.
Nella zona si contano migliaia di produttori, ciascuno col suo piccolo appezzamento. Nella coltivazione di questo frutto molte azioni si fanno ancora a mano, dalla potatura alla raccolta che avviene di solito ogni due anni per permettere alle piante di riposare e dare frutti migliori. Solo la ‘smallatura’, ovvero la liberazione del frutto dalla scorza esterna, e l’essiccazione, generalmente fatta al sole, possono essere gestite con l’aiuto di appositi macchinari. Il frutto raccolto viene in genere smallato ed asciugato dagli stessi produttori, e poi venduto alle aziende esportatrici: circa il 60% viene esportato all’estero, mentre il 40% trova impiego nell’industria nazionale.
In Sicilia sono una ventina circa le aziende addette alla lavorazione del pistacchio e poi alla sua commercializzazione, che avviene anche online, sia verso l’Europa che nei Paesi extraeuropei. Complessivamente l’oro verde produce annualmente una ricchezza di circa 35/40 milioni di euro. Sempre vigile l’attività di tutela del marchio e del prodotto per impedire contraffazioni, affinché non venga spacciato per pistacchio DOP di Bronte quello che non lo è.
Le temperature bollenti di quest’estate hanno causato la “scottatura” di una certa quantità di pistacchi; comunque, grazie alle piogge di fine agosto e inizio settembre, le coltivazioni si sono salvate. Così ci sono buone aspettative per la raccolta, che è in corso in quanto avviene tra metà settembre e inizio ottobre.
E proprio alla fine della raccolta, nell’ultimo fine settimana di settembre e nel primo di ottobre, sino al 2019 si è svolta ogni anno a Bronte la festosa e affollatissima Sagra del pistacchio, nel corso della quale era possibile degustare (e acquistare) pistacchi freschi o i prodotti ottenuti con la sua lavorazione. Nonostante il 2021 sia anno di raccolta, per la pandemia da Covid-19 – purtroppo attualmente la Sicilia ha il triste primato di regione italiana capofila per numero di contagi – l’amministrazione di Bronte ha deciso di non autorizzare l’evento, mancando i presupposti per svolgere in sicurezza la sagra.
Maria D’Asaro
Grazie, Maria. Il tuo interessante articolo mi riporta ai tempi della giovinezza. Ho cominciato a diventare un consumatore seriale di pistacchi negli anni Settanta, grazie (non posso dire per colpa) di un iraniano, un seguace di Bakhtiar, Firus Valizadeh (così almeno diceva di chiamarsi, quando si presentò in redazione). Non escludo fosse dei servizi segreti. Portava in redazione i pistacchi iraniani. Per due-tre anni fu una pacchia. Poi andò negli USA e persi il … fornitore. Mi ha lasciato però il vizio. Continuo ad essere un consumatore, fedele, di pistacchi (preferibilmente, nostrani).