Oltre duemila anni fa Seneca scriveva (“De brevitate vitae” ) che non è affatto vero che la vita è breve, essa invece è lunga se soltanto riusciamo a sfruttare completamente il tempo a disposizione. Il grande pensatore aveva un approccio filosofico all’esistenza e dunque si può ben comprendere il senso della sua affermazione, però è un fatto che avere più tempo davanti facilita le cose da fare, permette insomma una sorta di programmazione. Il ragionamento va calato nella situazione che tutti stiamo vivendo da quasi due mesi e che, con le dovute cautele e con le necessarie limitazioni, dovrebbe cominciare a cambiare fra una settimana. Ma i necessari allentamenti della quarantena per permettere la ripartenza graduale delle attività produttive e il ritorno progressivo alla normalità imporranno considerazioni e decisioni abbastanza immediate per programmare al meglio quella che già da oggi viene indicata come la “Fase 3”, presumibilmente ipotizzabile intorno a settembre.
Oggi le discussioni si incentrano soprattutto sulla quantità di denaro necessaria per dare ossigeno alle imprese e ai cittadini, sul ruolo dell’Europa e delle sue istituzioni costantemente germanocentriche, sulla capacità delle aziende di ricominciare. Una serie di questioni sicuramente importanti, che partono da un presupposto sul quale tutti sono più o meno d’accordo: nulla sarà più come prima, o almeno la gran parte. Intanto l’attuale stato dell’arte dice che in molti hanno perso il lavoro, che in tanti non lo ritroveranno più quando tutto questo sarà finito, che gli ammortizzatori sociali non possono e non devono essere eterni e che, purtroppo, chi cercava un’occupazione avrà adesso ancora maggiori difficoltà.
E allora? Per ricominciare occorrono idee chiare e prospettive concrete, non parole né tanto meno promesse. Intanto, una piccola grande rivoluzione sarebbe la sburocratizzazione: basta con circolari, provvedimenti, norme, leggi, decreti (talvolta pure in contrasto in loro) emanati ad ogni livello. Una semplificazione selvaggia indispensabile per la ripartenza. Che non significa concedere campo libero ai maneggioni e ai disonesti, ma solo dare la reale e concreta possibilità a chi ne ha la capacità di mettersi in gioco. Si pensi che in Italia dopo una legge spesso bisogna aspettare i decreti attuativi con le relative norme esplicative per capirci qualcosa e agire di conseguenza: esattamente il contrario di una democrazia in cui le persone sono cittadini e non sudditi.
In questo processo di modernizzazione che comincia dalla infrastrutture (ponti, autostrade, ferrovie, manutenzione del territorio ma anche reti telematiche, connessioni veloci, fibra), un ruolo decisivo lo avranno i giovani. A loro (nei quali colpevolmente si ripone scarsa fiducia) bisogna affidare il compito di essere l’architrave sul quale l’Italia potrà recuperare le posizioni perse e tornare a splendere. Giovani non soltanto dal punto di vista dell’età, ma soprattutto per spirito di innovazione, voglia di mettersi in gioco, capacità di guardare al futuro. Non è esclusivamente un fatto anagrafico perché le caratteristiche cui si accennava si manifestano ad ogni età. Un profondo movimento di rinnovamento che comincia dalla scuola, il luogo dove si formano le coscienze dei futuri protagonisti della vita economica, sociale e pure politica. La scuola bistrattata e umiliata da una classe dirigente, nella sua totalità salvo poche eccezioni, che ha trasformato i luoghi dell’apprendimento in “aziende” affidate a “manager” capaci spesso soltanto di parlare in “burocratese” e di trincerarsi dietro la pletora infinita delle disposizioni, dei commi, delle circolari… L’Italia finora non è stato un Paese per giovani: adesso lo deve diventare.
Ecco, in queste senso va attualizzato il pensiero di Seneca: la vita è lunga se si sa utilizzare bene tutto il tempo che ci concede. Lo è ancor di più se si è giovani e il percorso che si ha davanti è evidentemente più ampio.
Buona domenica.
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