MILANO – Lucrezio (98-55 a.C.) dedica nel suo poema “De Rerum Natura” quattro elogi al suo maestro Epicuro, celebrandone lo spirito indomito volto alla continua ricerca e all’osservazione razionale delle leggi della Natura.
Nel primo, l’autore lo descrive come colui che osò (primus ausus est contra) “sollevare lo sguardo” contro quel complesso di credenze che terrorizzava l’umanità, quando ancora questa giaceva turpemente in terra, schiacciata da un’oppressiva superstizione (sub gravi religione), per liberarla con la forza della ragione e sconfiggere così la religio. Va specificato che con tale termine, nella lingua latina, si poteva far riferimento sia alla religio/religione che alla superstitio/superstizione. L’elogio continua con la narrazione del mito di un crimine sacrilego: il sacrificio di Ifigenia (omericamente Ifianassa), offerta (hostia/vittima) agli dei dal suo stesso padre Agamennone per placare l’ira di Artemide e garantire così una fausta navigazione alla flotta verso Troia; il passo si chiude con un verso tanto terribile, quanto lapidario nella sua bellezza: “Tantum religio potuit suadére malorum” (Una così grande quantità di male poté provocare la religio).
Sono passati oltre duemila anni dalla composizione di questo magnifico poema ed ancora l’umanità agisce spesso irrazionalmente, lasciandosi trasportare da credenze e pregiudizi, privi di qualsiasi fondamento scientifico. Ne sa qualcosa il povero rospo portato agli onori della cronaca grazie ad un annuncio, a dir poco, stravagante: il National Park Service, l’agenzia federale degli Stati Uniti che si occupa dei parchi nazionali, ha invitato i frequentatori delle aree in cui vivono i rospi del fiume Colorado a non infastidire questi animali e, tramite un comunicato su Facebook, ha raccomandato di evitare di leccarli.
Il rospo del Colorado o del deserto di Somora, uno dei più grossi del Nord-America (18/20 cm), con le sue ghiandole secerne delle tossine che contengono la triptamina psichedelica, un potente agente allucinogeno; l’anfibio le emette se viene o si sente attaccato, ma la loro assunzione o inalazione per l’uomo può avere conseguenze negative che possono, in casi estremi, portare anche alla morte. Attualmente non è consentito l’uso a scopi medici della triptamina, per cui l’agenzia federale antidroga (Dea) l’ha inserita nella lista, negli Stati Uniti, delle droghe ad alto rischio di abuso.
Sicuramente l’unico abuso al momento accertato ed incontestabile è quello commesso contro il rospo da parte di coloro che lo catturano per leccarlo, esponendo la specie ad un rischio più elevato di estinzione e danneggiando gli ambienti umidi in cui vive, anch’essi ormai sempre più ridotti per frequenza ed estensione a causa della eccessiva presenza antropica e del climate change. Fin dalla notte dei tempi ed in tutti i continenti, il povero rospo purtroppo è stato oggetto di comportamenti vessatori e persecutori. Ad onor del vero la specie non viveva nell’habitat naturale dell’Australia, prima che l’uomo lo introducesse; ma falsare la realtà è una costante quando si parla di rospi, tanto che in un episodio dei Simpson, ambientato in Micronesia, succede che Homer (il protagonista), dopo aver constatato con grande rammarico che su quell’isola sperduta non ci sono né bevande alcoliche né televisori, scopra di poter impiegare allegramente il tempo leccando alcuni rospi “allucinogeni” del luogo.
Si può facilmente dedurre quale seguito possa aver avuto una mistificazione del genere, ancor più suggerita da una serie animata molto nota e con un’elevata audience, soprattutto nella fascia adolescenziale. Solo in epoca arcaica non si registrano credenze legate a quest’animale con una valenza negativa, anzi esso era considerato come manifestazione di una benefica forza tellurica con qualità terapeutiche straordinarie; al contrario, lungo tutto l’evolversi della storia successiva, il rospo è stato generalmente associato al mondo dei morti, alla magia o ad una peccaminosa sessualità femminile. Probabilmente per il suo aspetto poco piacevole o per la sua vita sotterranea e notturna o forse per la sua “doppia natura “ da anfibio (tra acqua e terra, quasi al confine di due mondi) è stato posto accanto alle divinità ctonie; in particolare ad Ecate (Eκάτη), divinità greca degli Inferi venerata come signora delle ombre e dei fantasmi notturni, oltre che come protettrice della magia e degli incantesimi.
Analogamente, in periodo romano, sono state ritrovate diverse sue rappresentazioni in contesti funerari; ma è soprattutto nel corso del Medioevo che la simbologia legata a questo animale ha assunto tinte fosche a causa dei legami attribuitigli con la magia nera e la lussuria. Nei Bestiari medievali, opere didascalico-moralistiche, veniva catalogato come uno degli animali del Diavolo e definito inseparabile compagno della strega “odia la luce (quindi Dio), vive di notte, mangia la terra, è bavoso, puzza ed è velenoso; simbolo della lussuria, si accoppia di notte in riti orgiastici”.
Visione questa che perdurò e si rafforzò nei secoli successivi; non stupisce, pertanto, che in alcune chiese lo si trovi raffigurato sul fondo delle acquasantiere per indicare appunto il demonio esorcizzato dall’acqua benedetta, emblema della fede cristiana. Come spesso accade, nella assoluta irrazionalità ed arbitrarietà della superstizione e del pregiudizio, i rospi in alcuni paesi sono considerati forieri di disgrazie e lutti, tanto da venir prontamente uccisi se avvistati, in altri di buon auspicio e, pertanto, rispettati e tutelati dalle comunità locali. La scienza, senza esitazioni, attesta invece che l’innocente rospo è uno degli agenti più preziosi nella lotta biologica contro i parassiti delle piante coltivate; animale notturno, ha la stessa funzione degli uccelli insettivori, in quanto distrugge larve di artropodi e lumache.
Alla fine, piuttosto che farsi irretire dalle anguste maglie della superstizione, quanto sarebbe meglio credere di poter baciare un bel rospo solo per spezzare il maleficio che lo imprigiona ed illudersi che diventi il nostro principe o ancor più quanto sarebbe sicuramente più affascinante poter seguire quello descritto da Andersen che, nella fiaba a lui intitolata, trova un modo fantastico per dare dignità ad un essere in fondo debole ed emarginato. L’autore riprende la credenza che nella testa del rospo, in contrasto quindi con la sua bruttezza esteriore, ci sia una gemma preziosa simbolo di eterna nostalgia e della voglia di andare in alto, sempre più in alto in una sorta di continuo Streben (aspirazione, tensione) romantico.
Forse solo così il povero rospo potrà sconfiggere l’ignoranza, proprio come Epicuro, “un uomo greco” (Graius homo) che, come ci tramanda Lucrezio, pervicit (stravinse) e, dopo aver schiacciato sotto i piedi la religio/superstitio, indicò all’umanità la via del pensiero razionale e scientifico, libero da qualsiasi mistificazione e oscurantismo.
Adele Reale
Nell’immagine di copertina, un tipico esemplare di rospo del Colorado
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