PERUGIA – Uno degli ultimi documenti etruschi, riportati alla luce, è stato inciso sul collo di una elegante testa in bronzo recuperata, di recente, nell’antico santuario di San Casciano dei Bagni. Tre righe di iscrizione, tracciate intorno al 100 aC, che sono state tradotte “Nufre figlio di Nufresi il perugino al dio della fonte per grazia ricevuta”. Il lemma “persile” (pronuncia: perscile) significherebbe dunque “perugino”. Assommano a circa 8.000 le parole di cui abbiamo traccia dell’etrusco. E molti dei misteri, anche se non tutti, che avvolgevano l’antico idioma sono stati risolti.
É il succo di una interessante lezione tenuta dal professor Adriano Maggioni all’Auditorium Vasari di Firenze in una conferenza organizzata dalla Galleria degli Uffizi in collaborazione con l’Istituto Nazionale di studi Etruschi ed Italici.
Il docente dell’ateneo Ca’ Foscari ha sgomberato il campo da un primo equivoco: l’etrusco non appartiene al ceppo di lingue indoeuropee e presenta solamente una pura e semplice “familiarità” con i dialetti dell’Isola di Lemno (a nord del Mar Egeo) e del territorio Retico (Nord Italia-Austria-Svizzera-Germania), che gli specialisti indicano come lingue preindoeuropee o palaeuropee.
Le prime epigrafi etrusche furono “interpretate” alla fine del Quattrocento dal monaco benedettino Ennio di Viterbo (autore delle “Antiquitates” del 1498). Tutto aveva avuto inizio con la scoperta delle sette Tavole Eugubine (nel 1444) scolpite su bronzo in lingua umbra (con alfabeto etrusco) e latina. Più tardi, nel Settecento, l’approccio si fece più scientifico con i tentativi di Antonio Francesco Gori e, subito dopo, con Luigi Lanzi che nel 1789 pubblicò i segni grafici dell’etrusco.
Un ulteriore, decisivo, aiuto agli esperti si rivelarono gli alfabetari di Marsiliana di Albenga (del VII-VIII sec. aC) su avorio; quello di 25 lettere di Pithecusa (Ischia) e quello di Perugia (ritrovato a Piaggia Colombata a metà del secolo scorso), tracciato sul fondo di un piatto in ceramica.
Per la comprensione degli oscuri testi, superato il metodo etimologico (poco o nulla funzionale) e quello induttivo (o combinatorio) l’importanza maggiore e risolutiva è arrivata col metodo bilinguistico. Come tutte le lingue vive anche l’etrusco ha vissuto, nei secoli, una evoluzione dalle forme più arcaiche a quelle più moderne, presentando anche differenziazioni, grafiche e fonetiche, tra la lingua scritta e parlata del centro-sud Italia (Lazio e Campania), quella del centro (Etruria ed Umbria) e quella del nord (regioni padane).
La Tavola di Camucia di Cortona ed il lino che rivestiva la mummia di Zagabria, sul quale era stato riportato un testo sacro (rituali e preghiere) hanno consentito agli studiosi del secondo Novecento (e tra questi Carlo De Simone ed Helmut Rix) di approdare ad una grammatica etrusca con due declinazioni nominali (nominativo, genitivo, pertinente, accusativo, vocativo, ablativo) e con la coniugazione verbale (presente, passato attivo, imperativo, congiuntivo). Ed ancora con la traduzione dei pronomi e degli aggettivi dimostrativi e relativi.
Tra gli esempi di bilinguismo, il professor Maggiani ha citato l’urna di Publius Volumnius Violens, ritrovata nell’ipogeo dei Volumni a Ponte San Giovanni (Perugia) con il patronimico in latino (Publio rivestiva il ruolo di senatore a Roma) e, sul tetto dell’urna, in orgoglioso etrusco per rivendicare le origini della propria famiglia; le Lamine di Pyrgi (scritte in etrusco e fenicio); le didascalie sul sarcofago della donna di Chiusi (dove si è rilevato che Culs significa porta e Culsu è il nome della dea delle Porte); lo Specchio di Berlino (che ha dimostrato come gli etruschi avessero mutuato dai greci le divinità di Apulu-Apollo e Semel-Semele, ma che avessero ribattezzato Dioniso col nome del loro dio originario con caratteristiche similari: Fufluns); i bronzetti del Santuario del Trasimeno (da cui il significato di Cels: suolo-terra); lo Specchio di Populonia (clan = figlio); la Mummia di Zagabria (“celius” nel significato di settembre e “un” che vuol dire tu); varie iscrizioni (dove compaiono i termini apac-padre, atic-madre, clenar-figli); il Cippo di Perugia (da cui si deduce come una formula rituale etrusca sia passata pari pari al latino); la Tegola di Capua (con il suo andamento pseudo-bustrofedico forse per la lettura a due voci di uno stesso testo). Ed ancora rimandi alla Stele di Poggio Colla ed all’Arringatore di Pila di Perugia.
Particolarmente suggestivo il contenuto della tomba dell’ultracentenario di Tarquinia (tale Lars Felsnas), morto a 106 anni ed intorno al 150 aC e nel quale si accenna ad una sua partecipazione alla Seconda guerra punica, non é chiaro su quale fronte, se romano o cartaginese, con tanto di riferimento ad Hanipal, cioè Annibale Barca.
Ora un gruppo di giovani etruscologi sta lavorando, alacremente, per completare il lavoro di questo mezzo millennio di ricerche e per arrivare a spazzare via gli ultimi termini irrisolti. Chissà che non si giunga, in tempi brevi, alla pubblicazione di un più ricco e più completo vocabolario della lingua etrusca e ad una compiuta grammatica.
Elio Clero Bertoldi
Nell’immagine di copertina, il prezioso sarcofago della donna ritrovato a Chiusi
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