Minacce ai giornalisti, il trend è sempre in ascesa. Nei primi cinque mesi del 2020 gli atti intimidatori nei confronti degli operatori dell’informazione sono stati 83 mentre in tutto il 2019 erano stati 87 e nell’anno precedente 73. Restando all’anno in corso va sottolineato che la metà delle minacce ai giornalisti sono arrivate tramite web e social con una evidente impennata rispetto agli anni precedenti e con una prevalenza di casi legati ad ambiti socio-politici (37), rispetto a quelli collegati alla criminalità organizzata (10) e ad altri vari contesti (36). I giornalisti che attualmente vivono sotto scorta sono 20, per tre dei quali è stato disposta una vigilanza di “secondo livello”, un gradino sotto a quello previsto per il presidente del Consiglio.
Dati raccolti e diffusi dal Centro di coordinamento sugli atti intimidatori nei confronti dei giornalisti istituito presso il Dipartimento della Pubblica sicurezza di cui fa parte, oltre ai vertici del ministero degli Interni e delle Forze dell’ordine, anche la Federazione nazionale della Stampa italiana e il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti.
Le regioni dove si concentra buona parte degli atti intimidatori sono Lazio, Lombardia, Campania, Calabria e Sicilia e va detto che numerosi episodi di questo genere sono ripetuti nello stesso modo e contro gli stessi giornalisti. La città dove è più difficile svolgere il mestiere di cronista è Caserta, territorio del clan camorrista dei casalesi “dove – ha scritto tempo fa Roberto Saviano – la criminalità organizzata storicamente si fonde e confonde con il tessuto sociale e quello politico”.
Nei primi sei mesi del 2020 è cresciuto il numero dei cronisti sotto scorta, da Carlo Verdelli a Paolo Berizzi, da Federica Angeli a Paolo Borrometi (nella foto a sinistra), e quello dei giornalisti minacciati sui social, tra questi, Eugenio Scalfari. E poi ci sono le giornaliste prese di mira con epiteti sessisti: dalla stessa Federica Angeli ad Antonella Napoli, Asmae Dachan, Karima Moual.
È facebook il social network utilizzato più spesso per veicolare le minacce: è avvenuto per 37 dei 46 episodi presi in esame tra il gennaio 2019 e il maggio 2020. Seguono mail e messaggi su twitter. In altri casi per le intimidazioni vengono utilizzate le pagine online dei quotidiani come commenti agli articoli dei giornalisti minacciati.
Tanti gli episodi segnalati. Preoccupa la frequenza e la crescita di questi attacchi. E attenzione, non si tratta di un succedersi casuale di eventi ma di un atteggiamento che fa parte di un sistema che prende di mira il cronista, l’operatore dell’informazione ma soprattutto la libertà di stampa nel suo insieme, e più in generale la democrazia stessa.
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