PERUGIA – Dachau, Buchenwald, Auschwitz: chi non conosce questi nomi e non prova un moto di orrore nel leggerli o nel pronunciarli? I campi di concentramento nazisti si sono rivelati agghiaccianti luoghi di sterminio di massa, non di secoli fa, ma di appena pochi decenni.
Non tutti sanno, tuttavia, della storia di Natzweiler-Struthof non lontano da Strasburgo e sulla catena dei monti Vosgi, dove Adolf Hitler ordinò di approntare un lager in un territorio (l’Alsazia), appena occupato della Francia e subito dopo annesso alla Germania, insieme alla Lorena.
I lavori, molto accelerati, ebbero inizio il 14 settembre del 1940 e furono completati nel volgere di una manciata di mesi, tanto che l’inaugurazione venne celebrata nel maggio del 1941. La scelta del sito era caduta sul versante del Monte Louise, ad 800 metri di altezza, perché era stata scoperta, in loco, dai geologi una cava di granito, indispensabile al Terzo Reich che progettava la costruzione di importanti monumenti a sostegno dell’immagine, in quella fase storica in auge, del nazionalsocialismo.
La costruzione prevedeva baracche non solo per i prigionieri (inizialmente 1.500, poi saliti addirittura ad 8.000) e per le guardie, ma persino un forno crematorio, una camera a gas e persino sale settorie. Sia pure “in nuce” l’idea della “soluzione finale”, tra l’élite nazista, appariva già chiara ed evidente. Tutt’intorno al campo le torrette di guardia ed una doppia recinzione di ferro spinato per impedire eventuali fughe.
Il comando del campo, in cui vennero rinchiusi, almeno inizialmente, i dissidenti e i primi partigiani francesi (nel tempo anche olandesi, polacchi, russi, norvegesi e pure italiani, nell’ultima fase), venne affidato a Joseph Kramer (1906-1945), che si dimostrò particolarmente crudele e spietato, con a disposizione una forza di 250 SS (in alcuni momenti anche 600). Le condizioni dei deportati risultarono al limite della sopravvivenza: lavori in cava dal mattino alla sera e, quale sostentamento, razioni scarse di pane, margarina, brodo. Maltrattamenti, sevizie, torture, uccisioni rappresentavano la quotidianità e servivano a debilitare, fisicamente e psicologicamente, i reclusi, molti dei quali ridotti a larve umane. Un vera bolgia infernale di dolore e di indicibili sofferenze.
Uno degli aspetti più sconvolgenti, tra i tanti, è che a Natzweiler-Struthof, per decisione di Heinrich Himmler, vennero spinti nelle camere a gas, per collezionare e studiare le loro ossa, un gran numero di ebrei. Il dottor August Hirt, anatomopatologo invasato dalle teorie naziste sulla razza e docente all’università di Strasburgo, intendeva dimostrare scientificamente, attraverso lo studio degli scheletri, la presunta inferiorità degli ebrei per poterli classificare ed etichettare quali “sub umani”. Per cui Himmler, che coltivava gli stessi pregiudizi, aveva disposto che, dai vari lager, inviassero in Alsazia i detenuti che più rispondessero agli stereotipi dell’ebreo.
Pochi deportati riuscirono a salvarsi da questa terribile struttura detentiva: tra gli scampati un ebreo, Ernst Simmer e un francese della resistenza, Jean Villeret. Che furono in grado, a guerra finita, di raccontare le peripezie e i raccapriccianti avvenimenti del campo, capitati a loro ed ai loro poveri compagni di sventura. Quando la situazione del conflitto cominciò a diventare insostenibile per i tedeschi, sotto l’avanzata degli anglo-americani, il lager venne precipitosamente abbandonato e i deportati trasferiti nei campi di sterminio ancora operanti in Germania. Il capitano Kramer – che successivamente comandò i lager di Auschwitz II – Birkenau (maggio-dicembre 1944) e Bergen-Belsen (dicembre 1944-aprile 1945), dove si guadagnò il nomignolo di “Belva” per la crudeltà che vi dispiegò – venne impiccato, al termine del processo ai torturatori tenutosi proprio a Belsen, il 13 dicembre del 1945.
Bavarese di nascita, Kramer – proveniente da una famiglia di media borghesia e molto devota – aveva seguito corsi professionali da elettricista e si destreggiò tra lavori saltuari fino al 1932. Fu in questo anno che l’artigiano si iscrisse al NSDAP di Hitler e, subito dopo, entrò nelle SS. Nel corso del servizio militare, l’ex elettricista incontrò Hans Lorizt e, mesi dopo, Theodor Eicke, brutali e disumani comandanti a Dachau. In pratica Kramer si “specializzò”, sotto la guida di questi personaggi ferini e senza scrupoli, nel “controllo” carcerario: da artigiano quale avrebbero potuto diventare, si trasformò in uno dei più feroci aguzzini nazisti. Forse superando i suoi, pur diabolici… maestri di atrocità. Quando si dice la banalità del male.
A Belsen morì, tra le oltre 40mila vittime della gestione Kramer, anche Anna Frank, l’autrice del “Diario”, divenuto di fama imperitura, stroncata da tifo esantematico, che il comandante tedesco si era guardato bene dal contrastare: l’anonimo artigiano d’un tempo, infatti, era riuscito – da manager della ferocia – a trasformare l’epidemia che aveva colpito il lager, in un alleato utile per “smaltire” quanto prima le sfortunate vittime dell’atroce progetto hitleriano.
Elio Clero Bertoldi
Nell’immagine di copertina, il lager di Natzweiler-Struthof in Alsazia
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