ENNA – Clochard, barboni, senzatetto, pezzenti, mendicanti, vagabondi, accattoni, pelandroni, straccioni, mendìci, pitocchi, cantallusci, gaglioffi, paltonieri… E con un altro piccolo sforzo l’elenco potrebbe continuare dato che la lingua italiana, in molti casi, è ricca, una vera miniera di nomi. Dispregiativi, in questo caso. Ed è grave, perché di uomini e di donne si tratta. Uomini e donne che hanno il cielo per tetto e la strada per pavimento. Uomini e donne con il viso sfatto e il corpo nascosto sotto una coltre di vestiti per celarsi agli occhi, purtroppo, ciechi dei passanti. Uomini e donne senza identità. Invisibili.
Un vero esercito, le truppe di cartoni, che si ingrossa ogni giorno di più: disoccupati, anziani, gente senza arte né parte, stranieri, famiglie intere a cui la crisi ha tolto il lavoro, la casa, la dignità. I più fortunati dormono in macchina, gli altri in giacigli di fortuna, nelle stazioni e nelle metropolitane, sui gradini e sotto i portici, nelle chiese di qualche buon pastore che lascia aperto il tempio di Dio affinché qualche soldato vi possa trovare ricovero nelle notti di tempesta e senza luna. Crescono i centri di accoglienza, il numero di volontari che preparano un pasto caldo, i luoghi in cui possono fare una doccia e guardarsi allo specchio nel tentativo di ritrovarsi di nuovo, di riconoscersi, di fare pace con se stessi. I più, tuttavia, dormono all’addiaccio nella speranza che il freddo sia con loro madre benevola o matrigna a seconda della loro voglia di vivere o di farla finita. Qualcuno muore, altri vivono o meglio sopravvivono al caldo, al gelo, agli sputi e all’insensibilità, che di vittime ne fa più di tutti. Si moltiplicano gli appelli dei sindaci, delle associazioni, delle Chiesa affinché si aprano le porte agli invisibili, si raccolgano cibi e indumenti e coperte e qualche piccolo regalo cosicché l’altro esercito, quello degli indifferenti, possa fare la sua buona azione, conquistare un gettone per il paradiso e mettersi la coscienza a posto.
Basta? Ovviamente no, non può e non deve bastare, si può fare altro, anzitutto costruire con loro un progetto di vita per scuoterli dal torpore, dalla desolazione e in molti casi dalla rassegnazione, reintegrarli nella società offrendo un tetto sotto cui poter stare. In America, un artista californiano, Gregory Kloehn, ha realizzato con materiali di scarto piccole case su ruote per dare riparo ai senzatetto, la sua iniziativa ha trovato consensi e sponsor e in poco tempo le casette si sono centuplicate, vuoi per il bassissimo costo (appena 30 dollari), vuoi per affrontare un’emergenza che in America tocca punte vertiginose a causa della recessione economica.
Un tetto, un pasto e talvolta un semplice sorriso, una parola, uno scambio, un dialogo per scoprire la persona che si cela sotto, la sua sua storia. È quello che ha fatto Guccini, che a un barbone ha ridato voce e immortalità nella sua celebre canzone, Il frate, attraverso una combinazione di parole, assonanze e rime e il cui significato finisce per adombrare la musica. Di clochard ne ha parlato il cinema, la televisione, la Mazzantini nel suo libro, Zorro, ma l’esperimento più riuscito è opera di un senzatetto francese, Jean Marie Roughol, che ha scritto la sua autobiografia diventata in poco tempo uno dei bestseller più venduti in Francia. Singolare la sua storia: un’infanzia segnata da un padre alcolizzato, un’adolescenza spesa in lavoretti improvvisati e per lo più in strada. Un adulto rassegnato a girovagare tra gli arrondissement di Parigi, a rovistare cassonetti, a questuare per una baguette e infine la svolta, l’incontro casuale con l’ex ministro dell’interno francese, Jean-Louis Debre, sugli Champs-Élysées, che l’ha invitato a scrivere di sé. Un gesto di solidarietà che ha dato speranza e un tetto a un uomo: non è poco.
E poi ancora il libro invisibile per gli invisibili, pensato e progettato da un gruppo di accattoni polacchi, stampato con un inchiostro speciale che si ravviva e diventa visibile solo alle bassissime temperature a testimonianza delle avverse condizioni a cui sono costretti a vivere. In Turchia la gente appende giubbotti, a Torino sciarpe, a Napoli pagano un caffè per uno sventurato avventore.
Iniziative lodevoli ma non sufficienti ad arginare un fenomeno dilagante di cui vittime sono non barboni e pezzenti ma uomini e donne che hanno il cielo per tetto e la strada per pavimento e spesso anche di quello sono privati.
Tania Barcellona
Nella foto di copertina, barboni dormono per strada accanto alle luminarie natalizie
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