MILANO – Le tradizioni popolari sono un patrimonio da conservare gelosamente e da trasmettere alle nuove generazioni per riscoprire le proprie radici. Con tale espressione si definisce quel complesso di usi, costumi, danze, musiche, fiabe, canti, leggende, proverbi che si tramandano oralmente presso i “volghi” dei “popoli civili“. Si tratta quindi di una tradizione per lo più orale, tramandata di padre in figlio, di generazione in generazione. Nell’uso internazionale, la disciplina che studia il complesso di questi fenomeni di solito viene definita con il nome anglosassone di “folklore“ (in italiano anche folclore). Il termine viene da “volk” = popolo e “lorè” = dottrina (arcaico), proposto per la prima volta nel 1846 dall’archeologo William J. Thoms, come denominazione di quei fenomeni che a quel tempo venivano indicati come “antichità popolari” o “letteratura popolare”.
Quando si parla di tradizioni in genere ci si riferisce ad usanze, consuetudini, comportamenti, leggende, proverbi. Per quei popoli che possono definirsi culturalmente più evoluti, le tradizioni comprendono anche brani di letteratura, di poesie e di opere teatrali, anche in vernacolo. Ciascuna di esse può essere definita una “fonte di insegnamento e guida” in grado di rivelare la saggezza, frutto di esperienza vissuta dalle generazioni passate. Il termine popolare è sinonimo di popolo e di tutto ciò che è legato all’istinto, all’espressione autentica dei sentimenti della razza umana.
Probabilmente il più grande interprete e studioso del canto popolare fu Zoltan Kodaly che mise in luce tre verità fondamentali. La prima asserisce che ogni essere umano ha avuto a che fare con la musica indipendentemente dal periodo storico e dalla collocazione geografica, perché la musica stessa appartiene a ciascuna persona. La seconda invece afferma che in ogni cultura si è sviluppata una serie di suoni simili (chiamati in modo differente da ogni popolo), da cui l’istinto ha poi attinto nei secoli un telaio melodico, quello che caratterizza le melodie popolari. Infine afferma che il canto è un viatico unico ed insostituibile per l’educazione e la formazione della persona. Detto questo si potrebbero esaminare alcuni aspetti fondamentali del canto popolare. Primo fra tutti la melodia.
Essa appare spesso orecchiabile, accattivante, ma anche semplice e costruita sopra pochi suoni centrali tanto da poter essere cantata da chiunque, senza difficoltà di estensione, o di intonazione. La caratteristica è la ripetitività di un motivo. Essa rappresenta la strategia più ricorrente negli stornelli che si prestano ad aggiustamenti sulle parole. Alla melodia si aggiunge la ritmica che coincide con la sillabazione della parola. La forma invece è costituita da strutture che per lo più sono circolari o strofiche, adattissime ai testi chilometrici ed utili per sviluppare la memoria e l’attenzione. Si pensi a quelle canzoni popolari che insegnavano i dieci comandamenti, per esempio, o episodi importanti della vita di Gesù, rappresentando così una forma di catechesi che andava bene per tutte le età.
Il testo di un canto popolare può racchiudere una serie di generi che vanno da quelli goliardici, ai canti della resistenza, da quelli infantili, a quelli legati al culto, dai dialettali a quelli più sentimentali. La caratteristica comune è quella di essere testi diretti, elementari, spontanei e dotati di una certa forza emotiva. L’istintività propria del canto popolare influisce anche sull’aspetto armonico di questa tipologia di canto. Infatti, un aspetto dettato dalla pratica del “cantare ad orecchio” è la naturale predisposizione ad arricchire la melodia principale con dei controcanti. Ma l’indiscussa protagonista dei generi popolari è sicuramente la voce, con le sue polifonie spontaneiste, variopinte e legate all’improvvisazione. La strumentazione utilizzata è molto varia. Senz’altro da ricordare la fisarmonica e l’armonica a bocca, la chitarra e il mandolino.
Mantenere viva la tradizione del canto popolare significa trovare un gruppo di persone motivate, intonate ed un buon timbro di voce, persone che abbiano voglia di mettersi in gioco, animate dall’amore per la conservazione e riscoperta delle tradizioni. Innanzi tutto bisogna ricercare l’armonia delle voci nel gruppo individuando in esso almeno due tonalità differenti per poter realizzare un canto così detto a due voci. Quindi bisogna procedere alla ricerca di canti veramente popolari, cioè mai pubblicati e quindi non di autore. Ciò significa recuperare le tradizioni orali dell’area territoriale a cui appartiene il gruppo, area che spesso fa riferimento a una tradizione per lo più rurale. Spesso è necessario recuperare le parole dei testi attraverso il racconto e il ricordo della popolazione più anziana riproducendo la melodia mediante l’ascolto di ritornelli e strofe canticchiate da quelle persone che di questi canti avevamo fatto la loro bandiera.
A volte le strofe vengono “cucite” attingendo da fonti diverse realizzando così un nuova versione dello stesso canto pur non travisandolo nel contenuto. La melodia invece viene riprodotta con strumenti della tradizione come armonica a bocca, organetto, fisarmonica e chitarra. Si tratta di una ricerca minuziosa fatta sul territorio con l’intento di riportare alla luce usi e costumi che altrimenti andrebbero irrimediabilmente perduti. In tutta Italia i gruppi di canto popolare e quelli folcloristici sono molteplici ed animano feste e sagre paesane recuperando quella parte di storia che non si trova nei libri e che narra vicende dove i protagonisti erano i nonni e i bisnonni.
Margherita Bonfilio
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