PERUGIA – Lo scoop sulle tre visite a Perugia (Assisi compresa) e Spoleto di Giosuè Carducci (1835-1907), comprese tra il giugno del 1876 e l’ottobre del 1877, lo ha fatto esplodere tempo fa, in un teatro Morlacchi gremitissimo e attento, il magistrato Alessandro Cannevale, ospite insieme al professor Marcello Fruttini, appassionato studioso del poeta, nel corso di uno degli incontri dell’Accademia del Donca, coordinati da Sandro Allegrini.
Su questi tre viaggi – dai quali scaturì, tra l’altro, l’ode “Alle fonti del Clitunno” e poesie su Santa Maria degli Angeli ed una su Francesco d’Assisi – aveva scritto molto, e minuziosamente, Uguccione Ranieri di Sorbello nel suo “Perugia della bell’epoca”, sostenendo che queste “escursioni” (la prima come ispettore ministeriale a Spoleto, la seconda e la terza come commissario agli esami di maturità del liceo classico Annibale Mariotti di Perugia) avrebbero rappresentato pure una opportunità per il poeta per incontrarsi, lontano da occhi indiscreti, con la sua amata (Carolina Cristofori in Piva, Lina per gli amici e Lidia nelle “Odi barbare”, nata a Mantova nel 1837 e moglie di un generale garibaldino, che aveva partecipato anche all’impresa dei Mille).
I due si erano conosciuti qualche anno prima, tra il 1871 e il 1872 in un caffè di Bologna grazie all’amica comune Maria Antonietta Torriani, poi marchesa Colombi. La loro appassionata e clandestina storia d’amore si chiuderà sette anni dopo (nel 1878). Tuttavia quando Lidia morì, stroncata dalla tisi il 25 febbraio 1881, ad assisterla amorevolmente, sino all’ultimo respiro, al suo capezzale accorse di nuovo il poeta. Ebbene, Cannevale afferma – sulla scorta delle lettere intercorse tra i due amanti (ne risultano 578; il poeta ne ha vergate, nel complesso, circa diecimila raccolte in ventitré libri) – che Uguccione si sarebbe inventato di sana pianta i particolari degli incontri umbri dei focosi amanti (Giosuè chiamava l’amata “Ebe divina”, “angelo” e persino “dolce pantera”, mentre riservava alla moglie la definizione più soft di “dolce bestiola”).
Ma se Lidia, vivendo tra Ravenna e Rovigo, si muoveva preferibilmente tra il Veneto e la Lombardia per gli incontri clandestini col suo amato, residente a Bologna, chi può avere addolcito i giorni trascorsi in Umbria dall’esuberante poeta, ritenuto dai suoi contemporanei un vero e proprio “tomber de femmes”? Cannevale, oggi procuratore capo a Spoleto, non si è sbilanciato, limitandosi a sgretolare da buon pubblico ministero la “testimonianza circostanziata”, ma solo apparentemente, di Uguccione. Ha, tuttavia, lumeggiato la possibilità che la fiamma del momento potesse essere una allieva conosciuta magari all’università di Bologna, dove il poeta reggeva la cattedra di letteratura italiana. Carducci – piccolo di statura, agile, svelto, gli occhi vivaci e irrequieti, animatissimo nell’eloquio, anche se ad alcuni appariva burbero e scontroso – non si mostrava, infatti, insensibile alla bellezza femminile. Di “scappatelle” ne avrebbe fatte parecchie.
In età molto più matura coltivò, per esempio, una relazione con una scrittrice ventenne (Annie Vivanti, nata nel 1866, che lo chiamava, affettuosamente “orco”) con la quale trascorse persino una romantica settimana a La Spezia nel Golfo dei Poeti e, se non un legame sentimentale accese almeno una amicizia, non si sa quanto platonica, con la Regina Margherita, vicenda, questa, che sollevò un vespaio di polemiche contro di lui, da sempre fervente repubblicano, da parte degli antimonarchici. Carducci replicò, a sua difesa e con eleganza, che pure un giacobino si inchina alla bellezza muliebre: il letterato definì, in un articolo pubblicato su “Cronaca bizantina”, rivista con la quale collaborava, il fascino subito dall’incontro con la regina “eterno femminino regale”. Scrisse esattamente: “Ora perché ella è regina e io sono repubblicano, mi sarà proibito di esser gentile, anzi dovrò essere villano? … Non sarà mai detto che un poeta greco e girondino passi innanzi alla bellezza e alla grazia senza salutare”.
Di certo Carducci – poeta, scrittore, latinista, letterato, patriota, massone, senatore del Regno e premio Nobel per la letteratura nel 1906 – con le donne spopolava, nonostante “l’aspetto irsuto e quasi selvatico”, così viene descritto e dipinto al suo primo approdo a Bologna. Dopo il matrimonio con la cugina di primo grado Elvira Menicucci, conosciuta fin da ragazzino e impalmata nel 1859, gli si attribuiscono relazioni con Dafne Gargioli, con Adele Bergamini, con Silvia Pasolini Zanelli. Ma chissà di quante altre si sarà incapricciato e avrà amato. Magari per una sola volta o per pochi giorni come la misteriosa bellezza amata, nel corso di quelle scappatelle, in Umbria.
Elio Clero Bertoldi
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