/, Sezione 4/Le leggi per le donne: un cammino tortuoso

Le leggi per le donne: un cammino tortuoso

di | 2021-03-07T10:47:30+01:00 7-3-2021 6:15|Attualità, Sezione 4|0 Commenti

RIETI – “La Costituzione è un buon documento, ma spetta a noi fare in modo che certi articoli non rimangano lettera morta, inchiostro sulla carta. In questo senso la Resistenza continua. Non può esserci libertà senza giustizia sociale e non può esserci giustizia sociale senza libertà” (Sandro Pertini). Troppe volte i principi e i valori restano sulla carta, come l’articolo 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali”. Per non dire dei Paesi in cui leggi e diritti non esistono e non vengono nemmeno presi in considerazione. Ma guardiamo in casa nostra, alla nostra Europa, alle donne di questo millennio e alle conseguenze della pandemia.

Sul fronte lavorativo il 99% della disoccupazione riguarda le donne e se gli omicidi sono diminuiti in linea generale, sono invece aumentati i femminicidi. Dal 1 marzo al 16 aprile, durante il lockdown, le telefonate al numero verde 1522 sono aumentate del 73%, rispetto allo stesso periodo del 2019, con 5.031 telefonate. Le vittime che hanno chiesto aiuto sono 2013 (+59%). Per il Lazio, il tasso di incidenza passa dal 6,8 del 2019 al 12,4 dello stesso periodo del 2020. Nel 60,6% dei casi le chiamate arrivano tra le 9 e le 17; quelle durante la notte e la mattina presto, solitamente in numero minore, hanno raggiunto il 17,5% (fonte Istat). Il 21 marzo 2020 il Dipartimento delle pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha stabilito che le spese in più dovute al Covid-19 sarebbero state a suo carico. Il ministero dell’Interno ha chiesto a tutti i Prefetti di individuare ed eventualmente requisire delle strutture per la quarantena preventiva, tra la presa in carico in emergenza delle vittime e l’ingresso nelle strutture di accoglienza.

Ma i fondi straordinari non sono ancora arrivati ai centri e mancano le strutture intermedie prefettizie. Con la seconda ondata e con la terza già annunciata, i centri antiviolenza corrono il rischio di arrivare al limite delle proprie capacità di sopravvivenza. C’è molto da fare e il coinvolgimento maschile sarebbe importante (di questi giorni la prima manifestazione a Biella di uomini con scarpe e mascherine rosse contro la violenza di genere, omicidi spesso evitabili, se le denunce e gli allarmi venissero presi nella dovuta considerazione).

Le prime normative a favore delle donne risalgono al 1874 quando finalmente viene consentito l’accesso ai licei e alle università, ma nella realtà, molti istituti continuarono a rifiutare iscrizioni femminili e molte professioni rimasero precluse. Nei campi e nelle fabbriche, dove c’è la maggiore concentrazione di donne, nascono i primi sindacati operai e le organizzazioni di lavoratrici. Tutte le normative ottenute con lotte e sacrifici sono elencate nel libro della Fondazione Nilde Iotti “Le leggi delle donne che hanno cambiato l’Italia”. E’ interessante e allo stesso tempo disarmante ripercorrere queste normative. La prima associazione a favore delle donne e delle lavoratrici bambine, occupate nelle sartorie, risale al 1899. Si chiama Unione Femminile Nazionale ed esiste ancora oggi, con un suo sito web, nello stesso palazzo d’epoca al centro di Milano, dove fornisce assistenza legale e sociale, formazione, spazi di incontri.

I progressi legislativi sono lenti: nel 1902 viene approvata la legge proposta da Paolo Carcano, ministro delle Finanze durante il governo Zanardelli, che vieta a donne e bambini la mansione di minatori e limita le ore lavorative giornaliere a 12. Eppure sono state le donne che durante i conflitti mondiali hanno portato avanti la famiglia e l’economia. Con la Legge Sacchi, nel 1919 viene abolita l’autorizzazione maritale e consente alle donne l’accesso ai pubblici uffici, esclusi la magistratura, la politica e l’esercito. Il regime fascista promuove l’ideologia che vede nella procreazione il principale dovere della donna. I diritti acquisiti fino a quel momento vengono declassati e vengono inasprite le leggi che sottomettono la donna alle scelte di padri e mariti. Tra le nuove norme del Codice Penale, l’art.587 prevede la riduzione di un terzo della pena per chi commette un delitto d’onore.

Con le leggi razziali del 1938, l’emancipazione delle donne subì una tragica e ulteriore battuta d’arresto. L’Unione Donne Italiane si costituisce ufficialmente nel 1945, ma già dal 1943 erano attivi i Gruppi di difesa della donna diretti da Caterina Picolato, contro l’occupazione nazista, dai quali uscirono le prime gappiste, partigiane combattenti e staffette. I Gruppi vennero ufficialmente riconosciuti con il loro organo clandestino Noi donne dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia. Nel 1945 viene approvato il suffragio femminile, grazie all’impegno dei movimenti pro-voto e alla proposta di Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti. È in occasione del Referendum istituzionale del 2 giugno 1946 che viene consentito per la prima volta alle donne di votare. Dopo il boom economico iniziano a nascere i movimenti femministi, partiti dall’America, per rivendicare non solo l’uguaglianza, ma il diritto alla sessualità, l’aborto e la contraccezione.

Il divorzio, il nuovo diritto di famiglia (1975) che riconosceva anche i figli nati al di fuori del matrimonio e l’adulterio del marito, il contratto collettivo di lavoro, il servizio sanitario nazionale, sono conquiste degli anni 70:  gli “anni di piombo” hanno portato anche qualcosa di buono. Nel 1963 è consentito entrare in Magistratura, nel 1981 l’ingresso al corpo di Polizia, nel 1999 l’ammissione nelle Forze Armate. La legge per abolire il “matrimonio riparatore” e il “delitto d’onore” è del 1981. Nel 1996, la legge n. 66 ha iniziato a considerare la violenza contro le donne come un delitto contro la libertà personale, innovando la precedente normativa, che la collocava fra i delitti contro la moralità pubblica ed il buon costume. Nel 2001 vengono introdotte nuove misure volte a contrastare i casi di violenza all’interno delle mura domestiche con l’allontanamento del familiare violento e il patrocinio a spese dello Stato per le donne senza mezzi economici, violentate e/o maltrattate, in collaborazione con i centri anti violenza e i tribunali.

Per vedere riconosciuta la violenza di genere e lo stalking con obbligo di arresto immediato, bisogna aspettare fino al 2013, quando l’Italia ha approvato la ratifica della Convenzione di Istanbul, del 2011. Il 24 novembre 2017 sono state approvate con DPCM le Linee guida nazionali per le Aziende sanitarie e le Aziende ospedaliere in tema di soccorso e assistenza socio-sanitaria alle donne vittime di violenza.

Francesca Sammarco

Lascia un commento

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi