Capita spesso che la trasposizione cinematografica o televisiva di un romanzo faccia perdere le caratteristiche fondamentali dell’opera: l’immagine, di solito potente e suggestiva, oscura i personaggi e la regia non riesce a coglierne gli aspetti salienti. Non è così nel caso di Lolita Lobosco, avvenente commissario della Questura di Bari, nato dalla penna di Gabriella Genisi. A dire il vero, proprio la fiction tv (che ha avuto come protagonista la procace e prorompente Luisa Ranieri) aveva sollecitato chi scrive a leggere qualche libro e scoprire se, anche in questo caso, il film fosse una brutta copia dell’originale. E invece la delusione è stata cocente: le avventure e le indagini della commissaria pugliese acquistano in tv maggiore spessore e diventano sicuramente più “digeribili” rispetto ai romanzi (8 in tutto) finora pubblicati.
La Genisi tratteggia una funzionaria di pubblica sicurezza che pensa troppo a se stessa, alla sua bellezza, ai suoi amori (più o meno corrisposti), alle sue storie personali. Da ogni riga trasudano concetti stantii, persino irritanti: ma quanto è bella Lolita, ma quanto è brava in cucina, ma quanto la apprezzano superiori e collaboratori (soprattutto i poliziotti Forte e Esposito)… Un insieme abbastanza sdolcinato che non meritava la trasposizione televisiva. E comunque, per dare spazio alla vita privata della Lobosco, si trascurano quasi del tutto i risvolti e le pieghe delle indagini, Che poi, in realtà, dovrebbero costituire il fulcro di quegli scritti. La ricerca dell’assassino pare quasi un “incidente”, estraneo al percorso del libro.
E si arriva anche a qualche assurdità: Lolita intrattiene rapporti telefonici con Salvuccio Montalbano (il commissario di Vigata creato da Camilleri e interpretato in tv, guarda caso, da Luca Zingaretti, marito nella vita di Luisa Ranieri) e riceve a casa sua persino Pepe Carvalho (il commissario ideato dallo scrittore catalano Manuel Vasquez Montalbàn): anche la finzione letteraria ha i suoi limiti. E in questi casi vengono superati con eccessiva nonchalance. E poi questo voler andare sempre un po’ oltre le righe, che è comunque una caratteristica abbastanza frequente dei poliziotti italici, come se violare qualche norma o i cosiddetti protocolli sia una regola universalmente accettata.
La Lobosco viaggia sempre circondata da un alone di Chanel n.5 (per carità, non è un reato), fa innamorare e si innamora con frequenza impressionante: una bollente storia con il giornalista Danilo Martini e poi il colpo di fulmine per un il sostituto procuratore Panebianco, con il quale fa l’amore per la prima volta nel suo stesso ufficio, dopo aver prudentemente chiuso a chiave… Roba da filmetti americani da quattro soldi.
Ad un personaggio così evanescente nei romanzi, Luisa Ranieri riesce invece a dare un’anima. Per carità, la bellezza rimane ed è caratteristica imprescindibile, ma l’attrice (ben guidata dal regista Luca Miniero) umanizza il commissario soprattutto nelle parti in cui rievoca il padre Nicola “Petresine” Lobosco, ritenuto da bambina un pescatore, mentre in realtà sbarcava il lunario facendo il contrabbandiere. Sullo sfondo, la solita Bari levantina e vitale: una città che chi scrive conosce bene, avendoci vissuto durante gli anni dell’università e avendoci svolto anche un pezzo di servizio militare (a quei tempi era obbligatorio). In definitiva, molto meglio la fiction: dei romanzi, invece, se ne può fare tranquillamente a meno. Perché quel commissario (come i turisti di qualche decennio fa) sembra messo lì solo per caso.
Buona domenica.
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