ROMA – In un delizioso, raffinato e accogliente teatro di Roma, l’Arciliuto, è andato in scena lo spettacolo I paralipomeni di una guerra tutta mia, azione teatrale densa e com-movente, nel senso che “muove” testa e cuore. Paralipomeni, “cose tralasciate, cose omesse”: colpevolmente omesse e tralasciate le considerazioni e che Gloria Zarletti ci propone in questa suo lavoro e che sono, invece, riflessioni importanti, anzi direi vitali, soprattutto in questo primo scorcio del XXI secolo che non sembra molto rassicurante per il futuro.
L’autrice ci parla di quelle passioni e di quegli atteggiamenti che ci contrappongono agli altri. “Passioni tristi” per dirla con Spinoza. Vergogna, rabbia, astio, invidia, vendetta: centrati su di noi, impegnati a cercare la nostra esclusiva affermazione, non costruiamo relazioni, non vediamo gli altri: essi ci appaiono solo come controparti se non come nemici; nascono così emozioni reattive, tristi, di rigetto e di chiusura, che – colpevolmente – ignoriamo e che crescono fino a generare una guerra continua: guerra nelle relazioni interpersonali e addirittura contro noi stessi, guerra che è prodromo della guerra “in grande”, quella delle nazioni, che ci fa paura ma di cui non vogliamo scoprire l’origine in noi.
Sono emozioni che neghiamo, cacciamo nell’inconscio, passioni che rifiutiamo di persino di nominare, quando invece l’unico modo per esorcizzarle sarebbe il riconoscerle, analizzarle – e con questo trasformarci e perdonarci -, educarle e, seguendo il suggerimento di Elena Pulcini, filosofa scomparsa recentemente, considerarle “una risorsa sociale”, porle come basi per costruire legami sociali solidi, vivificati non solo da interessi ma, appunto, anche da sentimenti. Allora l’ira per le ingiustizie può diventare molla per il cambiamento, la vergogna provata può spingerci a modificare il nostro modo di agire. Lasciarle covare, lasciarle crescere porta alla rabbia, all’odio.
Gloria Zarletti s’impegna in quest’operetta (sia chiaro che il diminutivo non si riferisce né all’importanza del contenuto né all’efficacia del risultato ma solo alla sua estensione temporale) a dissezionarle: è un lavoro di autoanalisi, è una confessione lirica che riguarda tutti noi e il mezzo scelto per far emergere queste riflessioni – la confessione, appunto – è efficace e ha precedenti illustri, da Agostino a Pascal a María Zambrano a Dostoevskij. Ma poiché il fulcro di questo lavoro è, a mio parere, l’imprescindibilità della relazione con l’altro e con gli altri in cui solo si può costruire la nostra identità personale, ecco che la confessione diventa polifonia e l’apertura alla relazione viene non solo dichiarata ma praticata.
Infatti i contributi di Alessandro Camilli, cantante dalla voce potente, e di Antonella Avagnano, raffinata storica dell’arte, non sono elementi posticci aggiunti per distrarre e intrattenere il pubblico ma momenti costitutivi di questo lavoro al pari della parola poetante. La realtà è sfaccettata e, coerentemente, i temi vengono sviscerati con uno sguardo altro che aggiunge ricchezza: ascoltiamo allora le note di canzoni significative come La guerra di Piero, Itaca, La storia siamo noi, Grazie alla vita e tante altre.
Antonella Avagnano ci fa leggere le passioni tristi attraverso opere di ogni tempo; dalla rappresentazione che Giotto fa dell’Invidia nella Cappella degli Scrovegni, alla Calunnia di Botticelli, alla Sfinge di Simon Light, all’Angelo caduto, di Alexander Cabanel angelo portatore di luce che, per orgoglio, diventa il ribelle, il diabolós colui che rompe la relazione con Dio e con gli altri ma che, in questa rappresentazione, piange. È rabbia? È rimpianto? È redenzione? In lui vedo l’ambiguità che è in tutti noi.
Uno spettacolo intenso, costruito a più voci – i tre in scena ma anche noi spettatori – che schiude uno spazio comune in cui scambiarsi considerazioni razionali, emozioni, bellezza, spettacolo che muove lo spettatore e apre una dimensione catartica e di trasformazione.
Angela Scozzafava
Nell’immagine di copertina, i protagonisti dello spettacolo: (da sinistra) Gloria Zarletti, Alessandro Camilli e Antonella Avagnano
Se lo spettacolo è all’altezza di questa recensione – tanto circostanziata quanto “com-mossa- c’è solo da sperare di riuscire a vederlo! Grazie ad Angela Scozzafava e alla sua sapiente guida alla rappresentazione co-artistica di un tema di perenne attualità! 👏👏