PALERMO – “Una catastrofe psico-cosmica mi sbatte contro le mura del tempo. Sentinella, che vedi? (…) Durante la grande guerra nel gennaio del 1915, un forte vento spingeva grandi blocchi di ghiaccio galleggianti imprigionando per sempre la nave dell’audace capitano Shackleton”. Questo l’inizio della canzone che Franco Battiato, nell’album “Gommalacca” del 1998, dedicava all’esploratore.
Chi era il capitano Shackleton e per quali audaci imprese lo ha ricordato il cantautore siciliano con le sue note suggestive?
Di origini irlandesi, Ernest Shackleton (1874-1922) è stato un esploratore britannico, capitano di Marina. Il padre medico desidera che praticasse la sua stessa professione; ma a 16 anni Ernest si arruolò come mozzo su una nave della Marina mercantile britannica e sei anni dopo, nel 1896, venne promosso nostromo.
Nel 1901 iniziò la sua carriera di esploratore del Polo Sud, come terzo luogotenente sulla nave Discovery guidata da Robert Falcon Scott, nella spedizione artica organizzata dalla Royal Geographical Society, il cui ambizioso obiettivo era raggiungere per primi il Polo Sud. L’equipaggio conseguì il primato dell’attraversamento del Mare di Ross e scoprì nuovi terre artiche. Ma, a causa dell’inesperienza nell’organizzazione – i viveri non furono sufficienti, i cani da slitta erano stremati – gli esploratori dovettero fermarsi il 31 dicembre 1902 a circa 480 miglia dal Polo Sud, a 82° 17’ di latitudine.
Durante il rientro, che si trasformò in una corsa per sopravvivere, Shackleton fu affetto dallo scorbuto e dovette rimpatriare subito in Gran Bretagna, dove comunque fu festeggiato da eroe.
Dal 1907 al 1909 ci fu la sua seconda missione in Antartide: la spedizione Nimrod, guidata dallo stesso Shackleton che, con i compagni Frank Wild, Eric Marshall e James Adams, giunse a 88° 23’ di latitudine sud e stabilì per tre anni il primato di avvicinamento al Polo Sud. Però, a soli 180 km dall’agognato traguardo, valutando le scorte e le forze del gruppo, Shackleton decise di interrompere il tentativo e di tornare al campo base. Motivò la sua sofferta decisione affermando: “Better a live donkey than a dead lion (Meglio un asino vivo che un leone morto)”. La spedizione riuscì a localizzare il Polo Sud magnetico, a scalare il monte Erebus (il vulcano attivo sull’isola di Ross) e a scoprire il passaggio nel ghiacciaio di Beardmore.
Al ritorno in patria il capitano Shackleton fu nominato cavaliere (Sir), Comandante dell’Ordine reale vittoriano e Ufficiale dell’Impero britannico. Il Polo Sud fu poi raggiunto per la prima volta da Roald Amundsen, con altri cinque norvegesi, il 14 dicembre 1911.
Il 9 agosto 1914 Ernest Shackleton salpò da Plymouth per la sua terza missione con la nave Endurance: dopo il raggiungimento del Polo sud da parte di Amundsen (e poi di Scott) l’unica conquista di prestigio da compiere era la traversata del continente antartico.
Il 10 gennaio 1915 l’Endurance raggiunse il mare di Weddell; ma il 19 rimase incastrata nella banchisa, andando alla deriva, finché il 27 ottobre, dieci mesi dopo, dovette essere abbandonata: il 21 novembre la nave fu completamente distrutta dalla pressione del ghiaccio. Shackleton e l’equipaggio si trasferirono sulla banchisa, in un accampamento d’emergenza chiamato “Ocean Camp”, dove rimasero fino al 29 dicembre, quando furono costretti a spostarsi, con tre scialuppe di salvataggio, su un altro lastrone di banchisa battezzato “Patience Camp”. Vi rimasero fino all’8 aprile 1916 ma, quando il lastrone incominciò a sciogliersi, nonostante le terribili condizioni avverse, navigarono a bordo dello loro scialuppe e raggiunsero così l’isola Elephant
Poiché le probabilità che qualcuno li soccorresse nell’isola erano nulle, per cercare aiuto Shackleton decise quindi di raggiungere la Georgia del Sud (distante circa 1.600 km), utilizzando la scialuppa migliore, insieme a cinque uomini. I sei salparono il 24 aprile 1916 e riuscirono ad attraccare nella parte meridionale dell’isola, dopo 15 giorni di navigazione in condizioni meteorologiche pessime.
Da qui Shackleton, con due compagni, in sole 36 ore fu capace di attraversare 30 miglia di montagne e ghiacciai inesplorati della Georgia del Sud per raggiungere il 20 maggio la stazione baleniera di Stromness, sulla costa settentrionale. Da lì organizzò il soccorso degli uomini rimasti sull’isola di Elephant che furono tratti in salvo, al quarto tentativo, nell’agosto 1916, col rimorchiatore cileno Yelcho.
L’incredibile impresa viene cantata così da Battiato: “Su un piccolo battello, con due soli compagni, navigò fino a raggiungere la Georgia Australe; mentre i 22 superstiti dell’isola Elefante sopportavano un tremendo inverno. (…) Per sopravvivere furono costretti a uccidere i loro cani, per sopravvivere. Ma il 30 agosto 1916, il leggendario capitano, compariva a salvarli con un’altra nave.”
Nel 1920 Shackleton tentò di organizzare un’altra spedizione, questa volta verso il Polo Nord per raggiungere il Polo Artico. Ma numerosi ritardi e contrattempi impedirono la partenza tempestiva per evitare l’inverno artico. Fu allora preparata un’ulteriore spedizione in Antartide.
La nave designata, la “Quest”, salpò il 17 settembre 1921 da Londra, salutata da una folla esultante. A bordo vi erano molti dei partecipanti alla precedente spedizione Endurance. La nave arrivò al porto di Grytviken, nella Georgia del Sud il 4 gennaio 1922. Ma, nella notte del 5 gennaio, Shackleton morì per un attacco cardiaco, a soli 47 anni. La moglie Emily dispose che venisse sepolto nel cimitero dei pescatori di Grytviken.
Battiato conclude l’omaggio musicale al capitano con versi in tedesco, che evocano un crepuscolo silenzioso e un giardino ghiacciato, con rose dolenti.
Rose che vorremmo idealmente deporre sulla tomba dell’audace Shackleton, nel crepuscolo sempre gelato di quel cimitero così vicino all’agognato Polo Sud…
Maria D’Asaro
I racconti di fantasia restano sempre un passo indietro: non possono che attingere da sorprendenti realtà storiche, come quella che ben ci riporti. E ancora più indietro saremmo rimasti tutti, se la nostra storia non avesse beneficiato di capitani coraggiosi come Ernest Shackleton. Ottimo recupero di ciò che siamo, e di ciò che vorremmo essere, al di là degli aggressivi e fuorvianti condizionamenti di questa caotica epoca.