“E’ una brutta malattia”. Laura (nome di fantasia) ha gli occhi appannati di lacrime mentre pronuncia queste parole guardando il divano dalla fodera un po’ lisa dove è seduto Simone, suo figlio, da 22 anni alle prese con l’autismo. “E una malattia cattiva – aggiunge – ammesso che possano esistere malattie buone…”: sorride e la velatura di pianto è sparita. Laura di anni ne ha 47 (ne dimostra almeno una quindicina in più), ne aveva 20 e frequentava il primo anno di Università (Lingua e letteratura inglese) quando nacque Simone. Il padre se ne andò quando il piccolo cominciò a frequentare l’asilo e lei, appena laureata, cominciava ad avventurarsi nel mondo della scuola barcamenandosi tra supplenze e lezioni private.
“Da allora non l’ho più visto – confida -. Telefonate abbastanza frequenti nei primi tempi, poi sempre più rare fino al nulla non appena seppe che il piccolo aveva qualche problema psicologico. Non l’ho mai cercato, ha cambiato città, si è rifatto una vita probabilmente; aveva già perso i genitori quando ci siamo conosciuti e anche amati. Per quanto ne so potrebbe pure essere morto. Non mi interessa, ho altro a cui pensare”.
La storia di Laura e di Simone è purtroppo molto più frequente di quanto si pensi, in Italia e in tutto il mondo. I cosiddetti disturbi dello spettro autistico, secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale per il monitoraggio di tali problematiche, interessano un bambino su 77 (di età compresa tra i 7 e i 9 anni) con una netta prevalenza nei maschi, che sono colpiti 4,4 volte in più rispetto alle femmine. Le cause sono tuttora sconosciute e la scienza, nonostante gli sforzi, non è ancora riuscita ad indicare soluzioni di qualsiasi genere: se ne occupano in tutto il mondo neurologi e psichiatri, ma con risultati finora abbastanza deludenti.
“I primi sintomi – continua Laura – si manifestarono quando Simone aveva 5 anni. Tendeva ad isolarsi, non partecipava ai giochi con gli altri coetanei, parlava pochissimo. All’inizio, la cosa fu affrontata con una certa leggerezza, quasi con superficialità: i medici dicevano che era pigro, che non aveva voglia di faticare… Tutte chiacchiere perché in prima elementare fu una maestra a pronunciare per la prima volta la parola con la quale conviviamo ogni giorno: autismo. I compagni di classe furono bravissimi, qualcuno di loro ancora oggi viene a trovarci. Ma fu bravissima soprattutto l’insegnante di sostegno a farsi carico della situazione: Simone la adorava e per cinque anni fu la sua seconda mamma. Io insegnavo a quei tempi, ma riuscivo in qualche modo a gestire tutto facendo i salti mortali con gli orari. Mi davano una mano i miei quando c’erano riunioni o incontri pomeridiani”.
“Alle medie la situazione cominciò a precipitare – aggiunge – perché l’insegnante di sostegno era una professoressa di matematica con competenze praticamente nulle nel campo della psichiatria, della psicologia e in generale del modo di relazionarsi con questo tipo di ragazzi problematici. E la classe fece pochissimo per cercare di aiutare mio figlio. Non colpevolizzo nessuno, ma questi sono fatti. Dovevo continuare ad insegnare per poter vivere, non potevo lasciare la scuola. Certe volte, ero costretta a partecipare alle riunioni portandomi dietro Simone che non potevo lasciare a nessuno. Mio padre si era ammalato di cancro e mia madre doveva badare a lui. Se ne andarono uno dietro l’altro, a pochi mesi di distanza, quando Simone aveva compiuto 15 anni. A quel punto, sfruttai tutte le possibilità che la legge mi offriva e poi mi dimisi: dovevo pensare a mio figlio che, allora come oggi, ha soltanto me”.
La necessità di politiche sanitarie, educative e sociali che incrementino i servizi e migliorino l’organizzazione delle risorse a supporto delle famiglie, è più che evidente. A questo proposito, il ministero della Salute ha messo a disposizione oltre 22 milioni di euro per rafforzare la rete dei servizi pubblici per la sorveglianza del neurosviluppo, la formazione dei professionisti e la realizzazione di progetti di vita individualizzati e basati sulle preferenze delle persone nello spettro autistico e sui costrutti della qualità di vita. È, inoltre, disponibile un nuovo sito web (www.osservatorionazionaleautismo.it) lanciato dall’Istituto superiore di Sanità per consentire ai cittadini e ai professionisti di monitorare tutte le attività realizzate nell’ambito del fondo autismo e i risultati ottenuti. Attraverso la piattaforma è possibile accedere a “una mappatura della rete sanitaria specialistica, di cui fanno parte oltre 1155 centri pubblici e privati convenzionati per la diagnosi e il trattamento dell’autismo”, spiega Maria Luisa Scattoni, ricercatrice dell’Iss e coordinatrice dell’Osservatorio Nazionale Autismo (OssNA). Inoltre, “possono essere consultate tutte le iniziative che l’Iss porta avanti per il personale del servizio educativo, sanitario e socio-sanitario”. Sono stati finora formati 8.767 educatori, insegnanti e professori, 1.520 pediatri di famiglia, mentre oltre 300 sono i dirigenti del Servizio Sanitario Nazionale hanno seguito corsi di alta formazione professionale e a breve saranno disponibili anche corsi per fornire supporto ai familiari.
Laura però non si è mai data per vinta e continua la sua battaglia quotidiana: “Lavoro da casa come traduttrice di libri (piuttosto raramente) e molto più spesso di articoli e saggi; con grandi sacrifici sono riuscita a pagare completamente il mutuo per la casa dove abitiamo. Con quello che riesco a guadagnare io e con gli assegni che spettano a Simone ce la caviamo, ma le spese sono tante. Appena è possibile, usciamo e facciamo lunghe passeggiate. Nel quartiere ci conoscono tutti; la commessa del forno dove compriamo il pane gli regala sempre un cornetto o un pezzo di crostata: Simone è molto goloso. Lui non parla, ma le sorride. Vi posso garantire che non lo fa spesso. Ho dovuto fare l’abbonamento ad una pay-tv perché a mio figlio piace tantissimo la Formula 1. Probabilmente è affascinato dal rombo dei motori: rimane per ore a seguire le corse, anche quelle delle moto. Sono i momenti in cui posso dedicarmi al mio lavoro. Con l’aiuto costante dei terapisti, gli abbiamo insegnato a lavarsi, a farsi la doccia: insomma è abbastanza autonomo. Piccoli passi in avanti per i quali ci sono voluti anni di esercizi e di tentativi”.
Una continua rincorsa, fatta di molti insuccessi e di qualche vittoria. “Simone ha terrore degli aghi e, in generale, degli oggetti appuntiti: lo scoprii quando ebbe una crisi terribile mentre stavo riattaccando un bottone. In casa quindi non ci sono forchette e i coltelli devono avere la punta arrotondata. Per le vaccinazioni contro il Covid abbiamo dovuto sedarlo… Dorme molto e la sera si addormenta presto, spesso sul divano: appoggia la testa sulla mia spalla e chiude gli occhi come un angioletto. Per portarlo a letto, devo svegliarlo: da sola non ce la faccio. Talvolta lo lascio lì e la mattina dopo lo trovo nella stessa posizione in cui l’avevo lasciato…”.
L’ultimo pensiero è anche il più angosciante. Per la prima e unica volta la voce di Laura trema: “Che cosa accadrà quando non ci sarò più?”.
Il 2 aprile si celebra in tutto il mondo la Giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo. Istituita nel 2007 dall’Assemblea Generale dell’Onu, la ricorrenza richiama l’attenzione sui diritti delle persone nello spettro autistico e su quelli delle loro famiglie. In Italia e nel mondo centinaia di monumenti, piazze ed edifici, tra cui anche il Quirinale e Palazzo Madama, aderiscono a “Light It Up Blue”, illuminandosi di blu la notte del 2 aprile, in segno di partecipazione all’iniziativa.
Buona domenica.
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