RIETI – “La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, c’era entrata davvero, com’è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d’Italia” . “Cominciarono prima nel borgo di Porta Orientale, poi in ogni quartiere, a farsi frequenti le malattie, le morti, senza alcun indizio antecedente di malattia” (Alessandro Manzoni, I Promessi sposi).
Noi oggi non parliamo di peste. Ciò che stiamo vivendo in questi giorni viene definita pandemia, ovvero un contagio diffuso, originato dal virus COVID19, comunemente chiamato Coronavirus. In pochi mesi la nostra vita è andata pian piano cambiando fino ad arrivare ad essere totalmente stravolta nelle sue abitudini quotidiane. L’Italia in primis, poi tutta l’Europa e ad oggi tutte le nazioni della terra sono ormai strette in un cerchio, dove tutti sono coinvolti nella stessa maniera e dal quale emerge un elemento comune: la paura. La paura del contagio e il contagio della paura. Infatti, in queste ultime settimane, si sono moltiplicati episodi, dapprima di “sinofobia”, ovvero paura dei cinesi, poi si è diffusa una sorta di angoscia collettiva difficile da decifrare perché un misto di angosce private e sicuramente primitive, difficili da portare alla luce. Stiamo assistendo a reazioni con comportamenti del tipo “mors tua vita mea” o anche a dinamiche sociali tipo “siamo uniti perché uniti ce la faremo”. Ovvero sentimenti positivi per il proprio gruppo e sentimenti negativi e punitivi per il gruppo altrui. “Soffrivo della peste molto prima di conoscere questa città e questa malattia”, afferma Tarrou, uno dei protagonisti de “La peste”, capolavoro di Albert Camus.
Ciò che maggiormente è emerso e continua ad evidenziarsi, a seguito di questa prova a che coinvolge tutti, è la fragilità interiore. Questa fragilità che diventa minaccia esterna e proiettata fuori è avvertita come minacciosa. Per cui domina la paura. La paura dell’epidemia che viene da lontano e che dà forma ad un nemico minaccioso che si avvicina sempre troppo vicino a noi stessi. Questo accadde anche con l’HIV, dove era coinvolta la sessualità. Oggi sembra essere coinvolto il respiro. Nel parlare di questo fenomeno di contagio a cui stiamo assistendo impotenti, la sola cosa che si riesce ad evidenziare e a pensare è la nostra fragilità che da un giorno all’altro è prepotentemente emersa e che ci accomuna tutti. C’è chi ne è consapevole e chi invece, non consapevole, è spaventato e assoggettato alla paura e qui si manifestano episodi quali gli assalti al supermercato per accumulare viveri, o si assiste a forme di aggressività, sempre dettate dalla paura, rivolte verso il prossimo, identificato come possibile fonte del male, dunque nemico.
Insomma, come spesso accade quando la paura ci governa, il coronavirus mostra la nostra ombra. L’unico modo per gestire questa paura è il ragionamento, il ragionare in mezzo al caos e non perdersi dentro al caos. E intanto ci auguriamo che arrivi presto, metaforicamente, la proverbiale pioggia manzoniana, “quella che lava via il contagio e la paura del contagio. Per restituire ai viventi tutti i viventi che conteneva, almeno non ne avrebbe più ingoiati altri; che tra una settimana, si vedrebbero riaperti usci e botteghe, non si parlerebbe quasi più di quarantina; e della peste non rimarrebbe se non qualche resticciolo qua e là; quello strascico che un tale flagello lasciava sempre dietro a sé per qualche tempo” .
Stefania Saccone
Nell’immagine di copertina, la peste descritta da Alessandro Manzoni de “I promessi sposi”
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