PERUGIA – Il segretario particolare, cioè l’uomo di fiducia, il confidente più assiduo di Cesare Borgia, tanto brillante, quanto spietato, duca di Valentinois, fu un vescovo nato e cresciuto ad Amelia da una nobile famiglia originaria di Firenze. Come siano riuscite a convivere due personalità, almeno apparentemente, così distanti e inconciliabili, a parte la cultura e la signorilità dei modi – il vescovo era pio e costumato, il figlio del papa spagnolo, lussurioso e senza alcun freno inibitorio – non si riesce a comprendere. Eppure i due vissero un rapporto lungo, amichevole e particolarmente intimo.
Agapito Geraldini (1450-1515), figlio del conte Bernardino e di Persia Cresciolini, venne avviato alla carriera ecclesiastica (contava sull’esempio di ben due zii vescovi). Allievo del maestro Grifone di Amelia e laureatosi all’università di Perugia, a 28 anni era già arcidiacono della cattedrale amerina, dedicata a Santa Firmina e vicario del vescovo. Si spostò, in cerca di spazi e gloria, a Roma e poi a Napoli. Quindi rientrò nella sede papale come segretario di un cardinale. Alla elezione di Rodrigo Borgia al soglio di Pietro, col nome di Alessandro VI, il sacerdote umbro venne assunto nella segreteria vaticana ed in poco tempo scalò le gerarchie fino ad ottenere il ruolo di protonotario apostolico e a divenire abituale commensale del Papa spagnolo. Il pontefice stimava e si fidava così tanto di lui da mandarlo con il figlio Cesare in Francia per tenere i contatti diplomatici col re Luigi XII, che aveva promesso di far sposare il giovane Borgia con Carlotta d’Aragona.
A Roma tenevano tantissimo a questa missione diplomatica, che avrebbe legato la famiglia ad una casa reale. Cesare ed il Geraldini, per il loro importante viaggio, avevano potuto contare su una scorta di cento armigeri, di un seguito di esponenti dell’aristocrazia romana ed un codazzo di staffieri, scudieri oltre ad 80 muli con some cariche di oro, argento e oggetti preziosi, quali doni per il sovrano e la sua corte. L’operazione diplomatica andò a buon fine: Cesare non sposò una Aragona, ma ottenne la mano di Charlotte (Carlotta) d’Albret, sorella del re di Navarra e, quale dote, il titolo e le relative rendite del ducato di Valentinois. Dal canto suo Geraldini, al rientro, venne creato nel giugno del 1500 vescovo di Siponto, in Puglia, vicino a Manfredonia, sia pure dovendo versare alle casse vaticane, sempre fameliche, 500 fiorini d’oro.
Quando il papa pensò di dotare l’amato figlio di un principato territoriale in Italia e scatenò la “guerra di Romagna”, Cesare chiese al padre, e ottenne, di portarsi al seguito il neo vescovo, come primo segretario. Il Geraldini ebbe così modo di conoscere e frequentare personalità come Leonardo da Vinci (ingaggiato dal Borgia per avere idee e suggerimenti nelle azioni militari, negli assedi e nelle difese delle rocche) e come Niccolò Machiavelli, segretario della Repubblica di Firenze, col quale il prelato strinse amicizia, oltre a tenere e sviluppare contatti personali o epistolari con tutte le corti italiane ed europee. Geraldini, sia pure senza parteciparvi personalmente, veniva messo a parte di tutti i più terribili segreti del duca, a cominciare dagli inganni, dalle frodi, dai crimini, dagli omicidi, dall’inaudita ferocia con la quale Cesare si liberò, facendoli ammazzare dal suo sicario più fido, Micheletto Corella, dei suoi capitani ribelli (il tifernate Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, Paolo Orsini e Francesco Orsini, duca di Gravina, tutti strangolati, i primi due a Sinigaglia, gli ultimi due a Città della Pieve).
E fu compito di Agapito stendere la relazione difensiva del duca, spiegando le esecuzioni con la giustificazione che i capitani avevano progettato di sopprimerlo il Borgia e che dunque la risposta di Cesare doveva essere qualificata e considerata “legittima difesa”. Il Valentino si sentiva così soddisfatto del lavoro del suo colto ed erudito segretario tanto da avergli fatto concedere, dal padre, rendite a Castel Durante, a Carpi, a Capua, a Bertinoro ed un appannaggio di 100 ducati d’oro l’anno. Inoltre, per i servigi resi dall’amerino alla città, Rieti gli aveva riconosciuto in dono, addirittura, la proprietà di un palazzo. L’improvvisa e inattesa morte di Alessandro VI, nel 1503, vide il Geraldini impegnato, per conto di Cesare (che rivestiva ancora il ruolo di Gonfaloniere, cioè comandante generale dell’esercito pontificio), nelle trattative con i cardinali per l’elezione del nuovo pontefice. I contatti allacciati si rivelarono fruttuosi, perché venne eletto Pio III, favorevole al Borgia.
Ma il pontificato del toscano Francesco Nanni Todeschini Piccolomini, di Sarteano – che nel 1488 era stato legato papale a Perugia – fu brevissimo: il successore di Pietro incoronato il 22 settembre, morì il 18 ottobre (per un’ulcera alla gamba o per il veleno fattogli somministrare dal senese Pandolfo Petrucci?) e fece in tempo solo ad affidare l’incarico al Pinturicchio di decorare le pareti della Biblioteca Piccolomini a Siena, fondata per ricordare degnamente suo zio, Pio II. Così Cesare e Agapito dovettero darsi da fare per intessere ancora intese e per stringere ulteriori alleanze. Si accordarono, addirittura, con Giuliano della Rovere (assunse il nome di Giulio II), nemico giurato del Valentino, ma che giocò col duca una partita molto sporca: gli promise mari e monti in cambio dell’appoggio alla candidatura, ma una volta insediatosi si rimangiò bellamente gli accordi e pretese l’immediata restituzione delle città della Romagna, destinate subito dopo al suo congiunto Guidobaldo della Rovere. Finì addirittura in cella, Cesare, ma riuscì a fuggire e a riparare a Napoli.
La mossa non si rivelò sufficiente: venne arrestato, il 26 maggio 1504, dal “gran capitano” Consalvo di Cordoba (che aveva stretto un patto segreto col pontefice: inganni e tradimenti non erano una prerogativa dei soli Borgia) e rinchiuso in Castel dell’Ovo. Tre mesi dopo, in piena estate, venne trasferito (tra i personaggi della sua scorta figurava pure Ettore Fieramosca, l’eroe della disfida di Barletta) in Spagna. Incarcerato, riconquistò la libertà con una fuga rocambolesca e raggiunse il regno di Navarra. Qui combatté per il re, Giovanni d’Albret, suo cognato in quanto fratello di sua moglie Carlotta e qui fu ammazzato il 22 aprile del 1507 in un tragico agguato a Viana.
Senza più appoggi importanti, il Geraldini tagliò i ponti col passato tornando all’antico amore per la cultura, iscrivendosi all’Accademia Pomponiana, frequentata fin dal suo primo approdo a Roma, dividendosi tra la sua abitazione romana di Borgo San Pietro e, in estate, il palazzo di famiglia ad Amelia. Nel 1506 rinunciò, volontariamente, al vescovado pugliese e di lui non si ebbero più notizie. A parte, nel settembre 1512, l’ospitalità offerta ad un personaggio del livello del condottiero Prospero Colonna (1452-1523). Si spense, Agapito, tenendosi tutti i suoi segreti, numerosi e inconfessabili, nel luglio del 1515. Fu sepolto nella cappella Geraldini della chiesa amerina di San Francesco. Lucrezia Borgia, duchessa di Ferrara, brigò per far ottenere, tramite un parente cardinale, le rendite della diocesi di Capua al nipote dello scomparso, nel ricordo dei buoni servizi resi alla sua famiglia “da messer Agapito”.
Elio Clero Bertoldi
Nell’immagine di copertina, il Ducato di Valentinois ottenuto da Valentino Borgia per aver sposato Carlotta d’Albret, sorella del re di Navarra
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