//L’Alzheimer distrugge malati e familiari

L’Alzheimer distrugge malati e familiari

di | 2024-09-21T12:26:38+02:00 22-9-2024 2:00|Punto e Virgola|0 Commenti

Un problema sanitario con un fortissimo impatto sociale, connotato da risvolti spesso drammatici per i familiari. Si parla di demenza, una malattia fortemente invalidante per chi ne è vittima e ugualmente condizionante per chi si assume l’onere dell’assistenza. In Italia, purtroppo, i casi sono in costante aumento: si stima che, entro il 2050, si passerà dalle attuali 1,48 milioni di diagnosi a 2,3 milioni. Nonostante il numero di casi sia in crescita a livello globale, si regista un preoccupante aumento della disinformazione sulla vera natura della malattia. È uno dei dati emersi dal Rapporto mondiale Alzheimer 2024, redatto dall’Alzheimer’s Disease International (Adi) e diffuso in Italia dalla Federazione Alzheimer, in occasione della giornata mondiale dell’Alzheimer (21 settembre), che in Italia colpisce in particolare circa 600mila anziani. I risultati mostrano un aumento dello stigma e delle difficoltà sociali legate alla malattia, ma anche una maggiore consapevolezza e impegno nella lotta contro la discriminazione. Tra le tante iniziative organizzate per la giornata in Italia, i Palazzi istituzionali si sono illuminati di viola, mentre a Palazzo Montecitorio si tiene una mostra fotografica intitolata “Mamma mia”, con scatti fotografici che osservano i comportamenti di una mamma malata attraverso gli occhi della figlia.

Un dato preoccupante è l’aumento della disinformazione sulla vera natura della demenza. L’80% degli intervistati ritiene, erroneamente, che la malattia sia una naturale conseguenza dell’invecchiamento (nel 2019 il dato era al 66%). Ancora più preoccupante è che il 65% degli operatori sanitari condivide questa convinzione, con un aumento del 3% rispetto a cinque anni fa. Inoltre, rispetto al 2019, è aumentato anche lo stigma sociale: l’88% delle persone con demenza dichiara infatti di averlo sperimentato in prima persona, un dato in aumento rispetto all’83% del 2019. La conseguenza è che molti tendono a isolarsi: il 31% evita le situazioni sociali e il 36% ha smesso di cercare lavoro per paura di essere discriminato. Solitudine e isolamento coinvolgono anche chi si prende cura delle persone con demenza: il 47% non accetta più inviti da amici e parenti, mentre il 43% ha smesso di invitare persone a casa. “Lo stigma – commenta Katia Pinto, presidente della Federazione Alzheimer – porta con sé l’isolamento sociale, che è a sua volta un fattore di rischio per la demenza e contribuisce a peggiorarne i sintomi e la salute mentale in generale”.

Ma ci sono anche segnali positivi. La maggior parte degli intervistati si sente più sicura nello sfidare lo stigma e la discriminazione rispetto al 2019, soprattutto nei Paesi ad alto reddito (64%). È, inoltre, in aumento la consapevolezza sulle cause della demenza, con oltre il 58% delle persone che riconoscono come abitudini di vita poco sane possano contribuire allo sviluppo della malattia. Inoltre, più del 96% crede nell’importanza di una diagnosi medica. Inoltre il 93% è convinto che esistano azioni concrete per migliorare la qualità della vita di chi ne soffre.

Per combattere lo stigma e costruire una società in cui le persone con demenza e le loro famiglie possano sentirsi sempre accolte e comprese, la Federazione Alzheimer ha avviato il progetto Dementia Friendly Italia. “La vita di una persona non finisce con la diagnosi di demenza, ed è confortante sapere che questa affermazione è sempre più condivisa – sottolinea Pinto -. Continueremo su questa strada, ma serve l’impegno di tutti: governi, istituzioni, professionisti sanitari, semplici cittadini. Solo così potremo abbattere il muro di vergogna ed errate conoscenze che ancora troppo spesso impedisce alle persone con demenza di ricevere un’assistenza adeguata e completa e di vivere una vita piena e dignitosa”.

Ma le demenze sono davvero incurabili? E i familiari possono solo rassegnarsi al lento, inesorabile declino dei propri cari? “La ricerca sta sviluppando nuove terapie, ma qualsiasi trattamento funziona meglio se il paziente è in fase presintomatica – sostiene Raffaele Lodi, presidente della Rete Irccs delle Neuroscienze che riunisce 30 istituti di ricerca e cura a carattere scientifico – . Per questo lavoriamo sui marcatori di malattia e sulla diagnosi precoce. Dobbiamo sostenere la ricerca e intercettare precocemente i pazienti. Per poter intervenire con quello che già abbiamo, ma anche per inserirli in programmi di sviluppo di nuove terapie. Accanto a questo vanno aiutate le famiglie”.

La diagnosi precoce dell’Alzheimer è dunque uno dei fronti più importanti della ricerca scientifica. Studi recenti suggeriscono che sarà presto possibile identificare le persone a rischio di sviluppare la malattia grazie a esami del sangue e analisi del liquido cerebrospinale. Senza scendere troppo in particolari, diversi studi dimostrano che livelli elevati di quattro proteine nel sangue si associano allo sviluppo della demenza, con alcune di queste riscontrabili già dieci anni prima che i sintomi si manifestino. Un altro studio condotto in Cina analizzando il liquido cerebrospinale di oltre 600 pazienti affetti da Alzheimer, ha permesso di identificare biomarcatori che possono predire la malattia anni prima della diagnosi. Questi progressi aprono nuove speranze per una diagnosi precoce, che consentirebbe interventi più efficaci e mirati nel trattamento della malattia.

Una cura definitiva per l’Alzheimer comunque non esiste ancora, ma ci sono farmaci che possono rallentare il declino cognitivo e migliorare la qualità della vita dei pazienti. Dopo anni di insuccessi, oggi si registra un progresso grazie agli anticorpi monoclonali. Questi farmaci, somministrati nelle fasi iniziali della malattia, possono rallentare significativamente il decorso dell’Alzheimer.Alcuni effetti collaterali di tali terapie sono oggetto di controversia, tanto che l’Agenzia europea del farmaco ha negato l’autorizzazione a prodotti approvati negli Usa, spiegando che i rischi sono superiori ai benefici.

Al di là delle diatribe nella comunità scientifica, è evidente che la strada maestra è l’individuazione precoce del male. Ed è ancor più evidente che le demenze rappresentano una delle più grandi sfide per la salute pubblica e per la tenuta sociale perché il dato di fatto che balza agli occhi è che troppo spesso le famiglie sono lasciate sole di fronte all’inesorabile evoluzione di un male che avanza e distrugge ogni tipo di relazione tanto che non di rado si auspica la morte come unica soluzione. E’ tristissimo, ma purtroppo è così.

Buona domenica.

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