MILANO – Nella lettera di presentazione che inviò al non ancora duca di Milano, Ludovico Maria Sforza detto “il Moro”, Leonardo da Vinci (1452-1519) spiegava di essere un pittore, uno scultore, un ingegnere militare, un elegante costruttore di scenografie per grandi feste. Tutte attività apprese nella bottega del Verrocchio a Firenze, insieme ad altri artisti come il Botticelli, il Perugino, Lorenzo di Credi e poi sviluppate con il proprio ingegno, con la fervida fantasia personale ed uno studio costante e approfondito.
Correva il 1482 quando il genio toscano approdò a Milano. Sedici anni più tardi Leonardo, mentre stava passando le ultime pennellate agli affreschi di quel capolavoro che è l’Ultima Cena nel refettorio di Santa Maria delle Grazie, ricevette in dono dal suo protettore, che lo apprezzava immensamente, un terreno. Forse “Il Moro” aveva intuito che il fiorentino possedeva pure il talento del vignaiolo. E in effetti in quel “giardino” di pertinenza della Casa degli Atellani (frequentatori abituali della corte sforzesca) Leonardo piantò, nelle 16 pertiche (un ettaro, grosso modo) ricevute dal Duca, una vigna. Dove coltivò un vitigno a bacca bianca e molto particolare: la “Malvasia di Candia aromatica”.
Mentre del terreno restano i documenti (una lettera del duca datata 26 aprile 1499 e l’atto notarile del 1519 dettato dall’artista pochi giorni prima di morire ad Amboise) della vigna e del suo ricordo tutto si era perso, letteralmente e completamente, nel succedersi dei secoli. Il fiorentino aveva lasciato una parte della proprietà in eredità al fedele servitore Giovanni Battista Villani e l’altra metà all’allievo Giovanni Giacomo Caprotti detto “il Salaì” (forse anche suo amante). Il Villani nel 1535, non contando su alcun erede, aveva poi alienato il bene a favore del monastero di San Girolamo.
Leonardo piantò i suoi vitigni nei mesi che precedettero la caduta degli Sforza (1500) ad opera dei francesi, tanto che l’artista fuggito a Mantova (dopo la fuga e l’arresto del suo mecenate) si vide sequestrare il terreno dai nuovi “padroni” stranieri. Tuttavia, pur di riaverlo a Milano – l’artista all’epoca era rientrato a Firenze – il luogotenente generale del re di Francia Luigi XII, Charles d’Amboise, restituì nel 1507 la vigna al pittore. E lui, dopo un certo periodo – convocato in Francia dallo stesso re che lo ospitò a corte – affittò la proprietà a tale Leonino Biglia e, successivamente, al padre del Salì, Pietro di Giovanni.
Solo un centinaio di anni fa (1920) Piero Portaluppi, proprietario del terreno, e l’architetto Luca Beltrami, riscoprirono l’area in cui era stata impiantata la vigna leonardesca, ma durante la Seconda guerra mondiale i bombardamenti alleati, seguiti da un violento incendio, distrussero la coltura. Negli ultimi lustri, tuttavia, grazie alla facoltà di agraria di Milano (professor Attilio Scienza) e alla genetista Serena Ignazio, con una serie di scavi nel terreno, erano state riportate alla luce radici di piante, che con sofisticate ricerche del DNA, hanno consentito di arrivare alla conclusione che i filari messi a dimora da Leonardo mezzo millennio fa fossero vitigni di “Malvasia di Candia aromatica”. Pianta che – proveniente dall’isola di Creta, come recita il nome – trovò ambienti favorevoli in Lombardia (nel Piacentino, nel Parmense, nell’Oltrepò pavese) e nel Molise.
Oggi è possibile visitare il Museo Vigna di Leonardo con tanto di audio-guida pagando un biglietto d’ingresso. La vigna, di nuovo impiantata, si trova in corso Magenta, 56. In centro, insomma. Una volta l’area, in Borgo delle Grazie, risultava periferica, in zona di porta Piacentina. Il palazzo, prima degli Atellani, era stato la residenza dei conti Zanardi Landi, patrizi, appunto di Piacenza. Gli enologi assicurano che la Malvasia di Leonardo, fresca, sapida, amabile, presenti profumi di agrumi (arancio, cedro, limone) e frutta (pesca e albicocca) ed una gradazione alcolica di 10,5 gradi (il passito 16 gradi). Buon cincin nel ricordo del grande genio.
Elio Clero Bertoldi
Nell’immagine di copertina, la vigna a Milano che appartenne a Leonardo da Vinci
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