TARANTO – Se chiedete ad un napoletano di indicarvi come raggiungere la chiesa di Sant’Anna dei Lombardi, è assai probabile che non vi saprebbe rispondere; se invece domandate dove si trova la chiesa di Santa Maria di Monteoliveto, tutti sapranno fornirvi precise e dettagliate informazioni. Si tratta sempre del medesimo complesso monumentale, fondato nel primo decennio del XV secolo e retto per quasi quattrocento anni dai monaci Olivetani; nel 1801, però, l’edificio sacro venne occupato, quasi proditoriamente, dall’arciconfraternita dei Lombardi e consacrato a Sant’Anna. I napoletani, si sa, amano la tradizione…
Entrando, a sinistra, si trova la splendida cappella rinascimentale dei Piccolomini: è chiusa al pubblico, ma pagando quattro spiccioli, vi faranno entrare. La cappella venne edificata dagli scultori toscani Antonio Rossellino e Benedetto da Maiano tra il 1475 ed il 1490, su committenza di Antonio Piccolomini, per accogliere le spoglie mortali di Maria D’Aragona, figlia naturale di re Ferdinando I di Napoli e prima moglie del Piccolomini.
Sul sepolcro, un’iscrizione funebre molto elegante e musicale, scritta in perfetto latino classico, così recita: «Tu che leggi queste parole, leggi sottovoce, per non svegliare colei che dorme. Qui giace Maria D’Aragona, figlia di re Ferdinando. Sposò Antonio Piccolomini, valoroso duca di Amalfi, cui ha lasciato tre figlie quale pegno di mutuo amore. Dobbiamo credere che la fanciulla dorma, giacché non ha meritato di morire. Ha vissuto vent’anni. Nell’anno del Signore 1460». Maria morì, ventenne, di parto: evenienza non infrequente a quei tempi. Per inciso, è utile ricordare che solo attorno alla metà dell’Ottocento e per merito del medico ungherese Ignaz Semmelweis si affermò l’obbligo, per medici e ostetriche, di lavarsi le mani tra un intervento e l’altro…
La madre di Maria D’Aragona si chiamava Diana Guardato ed era una nobile sorrentina. Fu la prima amante di Ferdinando, quand’egli era ancora duca di Calabria, e con lui concepì quattro figli: Maria, Giovanna, Ilaria ed Enrico, primogenito maschio di Ferdinando. Anche Diana morì dopo aver dato alla luce Enrico.
Quando nacque Maria, Ferdinando aveva circa 19 anni, era appena stato nominato dal padre naturale Alfonso V d’Aragona duca di Calabria e suo erede al regno di Napoli e non era ancora sposato: re Alfonso, infatti, era indeciso se trattare il matrimonio del figlio con i Visconti o con gli Orsini. Alla fine, Alfonso scelse i secondi e Ferdinando fu legato in matrimonio con Isabella de Clermont, figlia di Tristano e di Caterina Del Balzo Orsini, nipote di Raimondello, principe di Taranto, e di Maria d’Enghien, contessa di Lecce (e, successivamente, moglie di re Ladislao d’Angiò-Durazzo): con tale matrimonio Alfonso intendeva spegnere ogni possibile controversia dinastica tra filo-aragonesi e filo-angioini.
Maria D’Aragona all’età di circa 18 anni contrasse matrimonio con il senese Antonio Todeschini Piccolomini, fedelissimo di re Ferdinando, portando in dote, tra l’altro, il ducato di Amalfi.
Antonio era un ottimo partito: giovane, di bell’aspetto, abile militare e validissimo amministratore; in più, era il nipote prediletto di papa Pio II.
Maria ed Antonio, in tre anni di matrimonio, concepirono tre figlie: Vittoria, Isabella e Maria. Dev’essere stato un matrimonio felice il loro: per una ventina d’anni dopo la morte della moglie Antonio non intese risposarsi e, all’epoca, il matrimonio di un nobile aveva una fortissima valenza politica; non risulta, inoltre, che abbia avuto amanti o discendenti illegittimi (maschi magari, visto che aveva tre femmine) e, all’epoca, anche i figli naturali servivano per stringere alleanze o assicurare continuità di governo.
Re Ferdinando, che aveva la grossa preoccupazione di dover fronteggiare lo strapotere dei vari Orsini Del Balzo (che si vantavano di poter viaggiare da Taranto a Napoli senza mai uscire dai loro possedimenti), dei Sanseverino, dei Caracciolo, dei Guevara, dei Gesualdo, degli Acquaviva, dei Caldora e dei Senerchia, premeva affinché il fedele Antonio Piccolomini impalmasse una nobildonna che garantisse la tutela dinastica del ducato di Amalfi prima e, dal 1459, di quello di Sessa, strappato ai Marzano; una giovane nobildonna, che garantisse ad Antonio prole numerosa e figli maschi, nelle cui vene scorresse sangue aragonese e “indigeno”, possibilmente lucano o calabrese. La scelta cadde su Maria Marzano D’Aragona, figlia di Marino Marzano (l’ex duca di Sessa) ed Eleonora D’Aragona, sorellastra del re, con nelle vene sangue dei D’Angiò e dei Ruffo.
Nel 1471 Antonio Piccolomini, quarantenne, sposò, senza troppo entusiasmo, la ventenne Maria Marzano e da lei ebbe sei figli: quattro maschi e due femmine.
Quattro anni dopo il suo secondo matrimonio, Antonio commissionò, come ricordato, i lavori per la realizzazione di una cappella funeraria nella chiesa di Santa Maria di Monteoliveto, tanto cara ai D’Aragona, per ospitare i resti dell’amata prima moglie. Oberato dai numerosi e gravosi impegni diplomatici e militari che la politica antibaronale di Ferdinando determinava, affidò la gestione della commissione alla filiale napoletana della banca toscana degli Strozzi. Fece appena in tempo a vederla ultimata.
Riccardo Della Ricca
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