PERUGIA – Ogni tanto a qualcuno salta in mente l’idea di “scippare” all’Italia il navigatore e scopritore delle Americhe, Cristoforo Colombo (1451-1506). L’ultimo tentativo lo firma un medico forense dell’Università di Granada, José Antonio Lorente, la cui ricerca, dal titolo “Il DNA di Colombo. La sua vera origine”, è stata diffusa con documentario sul primo canale della televisione pubblica spagnola, TVE. Nel giorno, il 12 ottobre, in cui in Spagna si celebra l’ispanità, oltre alla scoperta delle Americhe.
In aggiunta, un architetto, Francesco Albander, ha affermato che Colombo fosse “catalano”. Sulla base di cosa – con quale prova, insomma – resta un mistero. Per tornare a Lorente il navigatore sarebbe nato a Valencia da una famiglia di tessitori di seta, ebraici di rito sefardita ed avrebbe nascosto, anche davanti alla Regina Isabella di Castiglia ed al marito, il re Ferdinando di Aragona, le sue origini, fino a definirsi cristiano, per sfuggire alle persecuzioni della “Inquisizione” e alla condanna all’esilio. Già il professor Antonio Alonso ha dichiarato al giornale El Pais che il ricercatore di Granada “non ha fornito prove scientifiche” a sostegno delle sue tesi. Ai profani, come noi, non resta che ricordare che il confessore della regina, Alessandro Geraldini di Amelia, poi primo vescovo del continente americano e figlio di Graziosa – nome attribuito da Cristoforo Colombo ad una isola, davanti alle coste del Venezuela, da lui scoperta per ringraziare il connazionale (umbro) per le parole spese a suo favore con la potente Isabella – mai ha riportato nel suo Itinerarium, che lo scopritore del nuovo mondo, fosse spagnolo.
Sebbene siano più di venti le ipotesi circa il paese di nascita di Colombo (alcuni lo vorrebbero greco, altri portoghese, non manca chi lo dice scandinavo o scozzese e chi polacco) gli elementi raccolti, ad oggi, testimoniano che il “nostro” fosse il primo dei quattro figli di Domenico e di Susanna Fontarrossa, genovesi. Lo stesso Cristoforo ha scritto, vergandolo di suo pugno, in una lettera di aver cominciato a navigare a Genova. Come mai da Valencia un ragazzino, un mozzo, si sarebbe dovuto trasferire in Liguria? Risulta che aveva sposato una portoghese, la nobile Filippa Moniz Perestrello (che gli diede il figlio Diego), il cui padre era originario di Piacenza. Gli si riconosce anche una amante spagnola, Beatriz Enriquez de Arana e de Bobadilla, marchesa di Maya (che gli partorì un altro erede, Fernando).
Il navigatore, dopo quattro viaggi nei territori scoperti, si spense per un infarto a Valladolid, nella comunità di Castiglia e Lèon. Il corpo, sulle prime tumulato nella città in cui era deceduto, nel convento di San Francesco, venne traslato più volte: prima nel monastero di Santa Maria delle Grotte, conosciuto come La Cartija a Siviglia, quindi a Santo Domingo (lui avrebbe lasciato scritto di essere sepolto ad Hispaniola, la prima isola da lui scoperta, oggi divisa tra Haiti e, appunto, la repubblica dominicana); poi a L’Avana (Cuba), infine di nuovo a Siviglia, nel Duomo, intitolato a Santa Maria della Sede (a cavallo tra Ottocento e Novecento). Nella Biblioteca Universitaria di Pavia sono custodite alcune piccole ossa del grande navigatore, donate dal Nunzio Apostolico di Cuba nel 1980 all’ateneo lombardo. Si dovesse, visto mai?, effettuare un raffronto.
Elio Clero Bertoldi
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